CENTRO CONTRO LE ERESIE SUL SANTO GRAAL
NON ESISTE NESSUNA LEGGENDA ANTICA SUI MEROVINGI COME DISCENDENTI DI GESU' E MADDALENA
Antares666 dice che esiste una leggenda antica che racconta che i Merovingi
discendono da M.Maddalena, ma da uteriori studi posiamo affermare che non è vero.
Infatti le leggende sulla Maddalena in Francia sono tardive, e comunque non accennno ai merovingi,
ma parlano di una santa ch visse in penitenza.
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S.M.MADDALENA-STORICAMENTE VISSE E MORI' AD EFESO
ANCORA ESISTE LA SUA TOMBA-S.GREGORIO DA TOURS LA VISITO' E SCRISSSE DI QUESTO.
S.Gregorio da Tours mort il 594 , viveva in Francia e frequentava la corte dei Franchi di cui scrisse libri,i Franchi sono i figli dei Merovingi,ora chi meglio di S.Gregorio da Tours, poteva saperre se S.M.Maddalena visse in Francia?
Le leggende delle S.Marie del mare non hanno nessun fondamento,sono tardive,inventate dai provenzali,dopo i presunti ritrovamenti dei resti di S.M.Maddalena,siccome da Efeso erea stata spostata a Costantinopoli e poi forse a Marsiglia, quando i crociati cercavano di salvare le relique dal saccheggio dei musulmani.
La "leggenda" dello sbarco nella Francia meridionale della Maddalena e di altre due Marie, episodio che avrebbe dato il nome al piccolo villaggio provenzale Les Saintes Maries de la Mer, cominciò invece a circolare nel IX secolo. Per motivi più prosaici che spirituali, i benedettini dell'Abbazia di Vézelay in Borgona iniziarono ad asserire di custodire il corpo della Santa, allo scopo di ravvivarne il culto e di promuovere così i pellegrinaggi. Nel 1265-67 i monaci nella basilica ormai ribattezzata col nome della Santa organizzarono l'ostensione e la traslazione dei presunti resti della Maddalena, facendo fiorire tutta una letteratura agiografica relativa alla Maddalena e al lancio del suo culto religioso in Francia e in Italia.
Ma di lei come sposa di Gesù nessun accenno venne mai fatto se non dalla fine dell'ottocento. "In pratica, nasce nella "controcultura" parigina di fine Ottocento formata da artisti contestatori, spesso impegnati nell'occultismo, che volevano scuotere le convenzioni. Per esempio, nel 1888 fu rappresentata a Parigi l'opera L'amante du Christ scritta da Darzens e l'amante era naturalmente la Maddalena".
"E' una figura chiave. La più vicina a Gesù. Dunque, "aggiustare" lo status della Maddalena significava, per riflesso, "aggiustare" anche la figura di Gesù. Nel 1896 fu pubblicato il Vangelo di Maria (Maddalena), un apocrifo importante che rafforzò il femminismo. Nei quadri, nei romanzi, la Maddalena divenne una femme fatale. Lawrence, autore de L'amante di Lady Chatterley, scrisse un racconto sulla Maddalena e Gesù intitolato Il risorto, pieno di doppi sensi."
Il Santo Graal come grembo della Maddalena è idea moderna con una precisa origine .Fu elaborata dalla più celebre società magica dei primi del Novecento, l'Alba Dorata, che aveva sedi a Parigi e Londra. Ben frequentata, molto chic, le sue dottrine s'ispiravano alla gnosi. Sosteneva che ogni aspetto maschile andava bilanciato con uno femminile, il "femminino sacro". Gli adepti inventarono meditazioni collegando la femminità al Graal dove appare un'Iside che dice "Io sono la coppa del Graal, io porto il sangue regale"."
L'interesse sulla Maddalena come sposa di Gesù viene quando è iniziata la caccia all'apocrifo più clamoroso, una caccia che ha costruito carriere importanti. Arrivò il Sessantotto, i Jesus Freaks, Jesus Christ Superstar. E nel 1970 due libri: Gesù era sposato? di Phipps, che coinvolgeva la Maddalena. E Il mortale segreto dei templari dell'occultista Ambelain per il quale la sposa di Gesù non era la Maddalena ma Salomé. E il matrimonio era conosciuto dai Templari. Ovviamente. Ambelain e Phipps ispirarono 25 anni fa Il Santo Graal di Baigent e soci…
La storia relativa a Gesù Cristo e a Maria Maddalena nasce tra il 1969 e il 1970, quando della vicenda del Priorato di Sion comincia a interessarsi un attore inglese che aveva recitato nello sceneggiato televisivo The Avengers (in Italia Agente speciale) negli anni 1960 con il nome di Henry Soskin, ed era poi diventato regista di documentari su soggetti misteriosi con il nome di Henry Lincoln. Questo attore e documentarista inglese entra in contatto con il trio de Chérisey - Plantard - de Sède e decide di riscrivere la storia de L’Or de Rennes in una forma più adatta al pubblico di lingua inglese, presentandola prima in tre documentari trasmessi dalla BBC tra il 1972 e il 1979 e poi in un libro pubblicato nel 1982 con l’aiuto di Michael Baigent e Richard Leigh The Holy Blood and the Holy Grail (tradotto in italiano nello stesso anno come Il Santo Graal, Mondadori, Milano). Lincoln si rende conto che a chi spetti il titolo di pretendente al trono di Francia è di scarso interesse per il pubblico inglese. Nello stesso tempo era stato introdotto da Plantard nel piccolo mondo delle organizzazioni esoteriche francesi dove aveva conosciuto Robert Ambelain (1907-1997), una figura notissima di questo ambiente. Nel 1970 Ambelain aveva pubblicato Jésus ou Le mortel secret des templiers (Robert Laffont, Parigi), dove sosteneva che Gesù Cristo aveva una compagna, pur non essendo legalmente sposato, e identificava questa «concubina» in Salomé. Lincoln mette insieme la storia del matrimonio di Gesù, che ricava da Ambelain, con quella dei Merovingi di Plantard e «rivela» che i Merovingi protetti dal Priorato di Sion sono importanti, ben al di là della rivendicazione del trono di Francia, perché discendono da Gesù Cristo e dalla Maddalena.( Cesnur)
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NON ESISTE NESSUNA LEGGENDA ANTICA SUI MEROVINGI COME DISCENDENTI DI GESU' E MADDALENA
Il fatto che Gesù abbia avuto dei figli e si sia sposato non compare in nessun scritto medioevale in realtà, in qualsiasi dipinto raffigurante una donna con in braccio il figlio il bambino era sempre Gesù Cristo. La Bibbia non menziona mai il Graal, sono gli scrittori medioevali a creare la leggenda del Graal, secondo uno dei racconti medioevali esso contiene il sangue di Cristo. Secondo Lincoln e compagni il Graal non poteva che essere il ventre della moglie di Gesù, ritengono che sia Maria Maddalena che secondo una leggenda portò il Graal, il bambino, in Francia, in seguito una delle discendenti di Cristo sposò un re franco dando vita alla dinastia merovingia. Ancora questo grande segreto sarebbe stato protetto da una potente e oscura organizzazione: Il Priorato di Sion. Negli anni 70' Lincoln esamina alcuni documenti alla Bibliotheque National, la biblioteca nazionale francese, e trova dei dossier che presumibilmente dimostrano l'esistenza del Priorato, diventano noti come le Dossier secrets. Quando Lincoln li trovò erano in buono stato, riportavano tutta una genealogia dei merovingi, c'è una lista della confraternità di Sion, dei grandi maestri tra cui spiccano Leonardi da Vinci e Newton. E' evidente che sono dei falsi dovrebbero essere stati scritti con due macchine da scrivere diverse agli inizi degli anni 60'. Il priorato di Sion non è mai esistito, o meglio era stato creato da Pierre Plantard, ma il 7 maggio 1956, invece sia per Lincolm che per Dan Brown era nato nel 1099 e aveva un braccio armato addirittura: i templari. In realtà i templari nacquero a Gerusalemme per difendere i cristiani dagli islamici, per garantire i pellegrinaggi. Dall'inizio del XII secolo combattono nelle crociate per difendere la terra santa. Con il loro coraggio ottengono presto ammirazione e ricchezza e uccidendo per Cristo divengono una terribile macchina da guerra, combattevano audacemente ed erano temuti, quando arrivavano i mussulmani scappavano. Per molti secoli gli storici li hanno trascurati, così non essendo conosciuti erano un perfetto telaio per intesserci una storia. Così i templari vengono da Lincoln e Dan Brown considerati i guardiani del Graal.
Autori francesi come Franck Marie (1978), Jean-Luc Chaumeil (1979, 1984, 1992) e Pierre Jarnac (1985, 1988) non hanno mai preso sul serio Pierre Plantard e il Priorato di Sion, al contrario di Baigent, Lincoln e Leigh. Essi conclusero rapidamente che si trattava di una bufala, delineando i motivi del loro verdetto, e fornendo prove dettagliate che gli autori di Holy Blood non avevano riportato per esteso. Implicano inoltre che queste prove sono state ignorate da Baigent, Lincoln e Leigh allo scopo di sostenere la versione mitica della storia del Priorato, infatti Jean-Luc Chaumeil li aveva informati un anno prima della pubblicazione del loro libro della falsità di quei documenti. Scoprì come anche le pergamene erano state create, per autenticare la confraternita di Sion dovevano citarla nelle pergamene. Philippe de Chérisey, un marchese erudito, fu lui a creare le pergamene in accordo con Plantard, Jean-Luc Chaumeil trovò le pergamene originali con l'aggiunta importante che afferma che sono state scritte a mano da Philippe de Chérisey. D'altronde Jean-Luc Chaumeil ha trovato anche un documento di quaranta pagine una confessione di Philippe de Chérisey che spiega come hanno organizzato tutto. La confraternita di Sion esisteva ma fu fondata da Plantard e era composta da quattro o cinque membri. L'intero piano era stato architettato per rendere Plantard discendente al trono di Francia, per renderlo successore dei merovingi, Philippe de Chérisey lo aiutò per divertimento e Gerarde de Sedè lo aiutò con il suo libro, era tutta una burla creata ad arte.
Quando nel 1982 uscì il libro Il Santo Graal la burla iniziò a diventare seria, quello che interessava a Plantard era di risultare successore della dinastia merovingia, non di certo discendente di Cristo, fu così che disse che quel libro conteneva molte invenzioni, di cui la più grande è la discendenza di Cristo, affermando di non aver mai dichiarato di essere discendente di Cristo. Gerarde de Sedè scrisse un secondo libro in cui spiegava la burla da cui è nato tutto. D'altronde anche la storia della ricchezza del prete Bérenger Saunière di Rennes-le-Château, si scoprì derivante da altro, la risposta si trova nei diari del sacerdote esposti al museo di Rennes. Era diventato ricco vendendo indulgenze a ricchi nobili, la prova è nei suoi registri, ha venduto migliaia di indulgenze.
Nel 1989 Pierre Plantard cercò senza riuscirci di salvare la sua reputazione e il suo programma sostenendo che il Priorato di Sion era stato in realtà fondato nel 1681 a Rennes-le-Château. Nel settembre 1993, egli sostenne che Roger-Patrice Pelat era stato Grande Maestro del Priorato di Sion. Pelat era un amico dell'allora presidente francese François Mitterrand ed era al centro di uno scandalo che coinvolgeva il Primo Ministro francese Pierre Bérégovoy. Un tribunale francese ordinò una perquisizione nell'abitazione di Plantard, trovando molti documenti, inclusi alcuni che proclamavano Plantard come vero re di Francia. Sotto giuramento, Plantard ammise che aveva fabbricato tutto, compreso il coinvolgimento di Pelat con il Priorato di Sion. A Plantard venne ordinato di cessare e desistere da tutte le attività legate alla promozione del Priorato di Sion e visse lontano dai riflettori fino alla sua morte, avvenuta a Parigi il 3 febbraio 2000.http://www.cristiani.altervista.org/teologia/codice/introduzione.htm
http://groups.google.com/group/centro-contro-le-eresie-sul-santo-graal?hl=it
domenica 21 dicembre 2008
mercoledì 17 dicembre 2008
ANTARES666 RISPONDE RIGUARDO IL SANGUE REALE MEROVINGIO
CENTRO ANTI-BLASFEMIA
ANTARES PARE CONOSCE UNA LEGGENDA ANTICA CHE ASSERISCE CHE I MEROVINGI
DISCENDONO DA GESU' E MARIA MADDALENA.
ABBIAMO CHIESTO INFORMAZIONE ECCO COSA RISPONDE ANTARES.
L'informazione secondo la quale io sosterrei le posizioni di Baigent e Brown
è assolutamente non corretta. Anzi, ho dedicato molte energie a confutare
tali posizioni - in quanto sono contrarie alla mia religione catara, che non
ammette l'incarnazione.
Ho scritto un post sull'argomento:
http://antikosmikos.splinder.com/post/13257083/Una+confutazione+delle+tesi+di
L'origine germanica dei Merovingi l'ho ribadita anche qui:
http://antikosmikos.splinder.com/post/15057229/La+Conoscenza+smaschera+gli+im
Baigent e simili hanno creato le loro aberrazioni riesumando una vecchia
favola che non ha in sé nulla di gnostico e che non menziona in alcun modo
il Graal: si tratta solo di una voce che circolava allo scopo di nobilitare
le origini dei Merovingi. Va detto che tali germani erano di una tale miopia
ed ignoranza che solo un secolo dopo la loro conversione pensavano che
Clodoveo avesse adorato gli Dei di Roma e dell'antica Grecia.
A questo sostrato, Baigent e gli altri hanno aggiunto un'interpretazione del
tutto fuorviante del Vangelo di Filippo, come ho dimostrato al di là di ogni
dubbio:
http://antikosmikos.splinder.com/post/17842523/Cristo+non+gener%C3%B2+figli
I Buoni Uomini non conoscono nessun "segreto", non fanno parte di nessuna
cospirazione, e non credono nel Graal - per il semplice fatto che non avendo
Cristo un corpo materiale, non può aver lasciato sangue né tantomeno seme.
Le posizioni del Catarismo sull'argomento sono molto più radicali di quelle
della Chiesa di Roma. La cospirazione è invece opera della Massoneria, che a
quanto pare fa di tutto per infestare la rete con informazioni non corrette,
disoneste e confusionarie. Ci tengo a precisarlo, il Catarismo non ha niente
a che vedere con la Massoneria, che è di tutt'altra origine. Il Catarismo
afferma l'origine diabolica dell'universo materiale, e non ha nulla in
comune con chi parla di Grande Architetto.
Sono esterrefatto. Prima di fantasticare su di me, proporrei di leggere
attentamente quanto scrivo. Probabilmente la fonte di tutto questo è una
donna che ha visitato un mio sito di poesie e ha scritto un commento
assolutamente delirante: mi ritiene infatti l'ultimo dei Merovingi e deve
aver sparso questa voce. E' evidente che ha travistato un po' di
informazioni. La mia origine non ha nulla a che vedere con i Merovingi. Le
mie radici da parte di padre sono nell'Acquese, in Piemonte. I miei antenati
paterni erano certamente Catari, per il semplice fatto che ancora mia nonna
manteneva un gran numero di idee e di costumi che sono una caratteristica
del Catarismo e non possono in alcun modo avere spiegazione diversa.
Un grande saluto
Marco
http://groups.google.com/group/centro-anti-blasfemia?hl=it
ANTARES PARE CONOSCE UNA LEGGENDA ANTICA CHE ASSERISCE CHE I MEROVINGI
DISCENDONO DA GESU' E MARIA MADDALENA.
ABBIAMO CHIESTO INFORMAZIONE ECCO COSA RISPONDE ANTARES.
L'informazione secondo la quale io sosterrei le posizioni di Baigent e Brown
è assolutamente non corretta. Anzi, ho dedicato molte energie a confutare
tali posizioni - in quanto sono contrarie alla mia religione catara, che non
ammette l'incarnazione.
Ho scritto un post sull'argomento:
http://antikosmikos.splinder.com/post/13257083/Una+confutazione+delle+tesi+di
L'origine germanica dei Merovingi l'ho ribadita anche qui:
http://antikosmikos.splinder.com/post/15057229/La+Conoscenza+smaschera+gli+im
Baigent e simili hanno creato le loro aberrazioni riesumando una vecchia
favola che non ha in sé nulla di gnostico e che non menziona in alcun modo
il Graal: si tratta solo di una voce che circolava allo scopo di nobilitare
le origini dei Merovingi. Va detto che tali germani erano di una tale miopia
ed ignoranza che solo un secolo dopo la loro conversione pensavano che
Clodoveo avesse adorato gli Dei di Roma e dell'antica Grecia.
A questo sostrato, Baigent e gli altri hanno aggiunto un'interpretazione del
tutto fuorviante del Vangelo di Filippo, come ho dimostrato al di là di ogni
dubbio:
http://antikosmikos.splinder.com/post/17842523/Cristo+non+gener%C3%B2+figli
I Buoni Uomini non conoscono nessun "segreto", non fanno parte di nessuna
cospirazione, e non credono nel Graal - per il semplice fatto che non avendo
Cristo un corpo materiale, non può aver lasciato sangue né tantomeno seme.
Le posizioni del Catarismo sull'argomento sono molto più radicali di quelle
della Chiesa di Roma. La cospirazione è invece opera della Massoneria, che a
quanto pare fa di tutto per infestare la rete con informazioni non corrette,
disoneste e confusionarie. Ci tengo a precisarlo, il Catarismo non ha niente
a che vedere con la Massoneria, che è di tutt'altra origine. Il Catarismo
afferma l'origine diabolica dell'universo materiale, e non ha nulla in
comune con chi parla di Grande Architetto.
Sono esterrefatto. Prima di fantasticare su di me, proporrei di leggere
attentamente quanto scrivo. Probabilmente la fonte di tutto questo è una
donna che ha visitato un mio sito di poesie e ha scritto un commento
assolutamente delirante: mi ritiene infatti l'ultimo dei Merovingi e deve
aver sparso questa voce. E' evidente che ha travistato un po' di
informazioni. La mia origine non ha nulla a che vedere con i Merovingi. Le
mie radici da parte di padre sono nell'Acquese, in Piemonte. I miei antenati
paterni erano certamente Catari, per il semplice fatto che ancora mia nonna
manteneva un gran numero di idee e di costumi che sono una caratteristica
del Catarismo e non possono in alcun modo avere spiegazione diversa.
Un grande saluto
Marco
http://groups.google.com/group/centro-anti-blasfemia?hl=it
UNA BREVE NOTA SUI MEROVINGI E SULLA LORO LINGUA
UNA BREVE NOTA SUI MEROVINGI E SULLA LORO LINGUA
Quando si formulano ipotesi infondate, come fa Dan Brown, si dovrebbe sempre aver ben presente il contesto dell'epoca in cui si ambientano le proprie fantasie. A proporsito dell'ormai annosa teoria del Sangreal, giova tener presente che i Franchi non erano Francesi nel senso moderno del termine. Erano un'unione di popoli germanici che parlavano dialetti appartenenti all'area dell'Antico Alto Tedesco. Non si esprimevano in idioni romanzi come la Lingua d'Oil, all'epoca neppure pienamente formata. Non potevano capirsi con i loro popolani. I Merovingi non si curavano di certo del problema. Carlo Magno, figlio del distruttore della dinastia di Meroveo, si cullava ancora nell'assurda illusione che i suoi sudditi si esprimessero nel Latino degli antichi Romani, integro e puro come quello di Cicerone, come quello di Giulio Cesare.
Questo sovrano, cresciuto analfabeta e rozzo, era tanto distante dalla cultura delle genti del suo regno da ignorare persino l'uso del formaggio. Furono dei monaci a fargli conoscere questo alimento, e all'inizio il chiomuto sovrano ne fu disgustato perché non sapeva come mangiarlo: addentò la rancida crosta come prima cosa e la sputò schifato, chiedendosi come mai potesse un essere umano godere un cibo tanto immondo. Solo come gli fu insegnato a mangiare la polpa, divenne un grande estimatore della produzione casearia.
Fu Alcuino, monaco dottissimo, a mettere a Carlo la pulce nell'orecchio, e questi ordinò un'indagine accurata tra le genti sottoposte al suo potere per accertare quale lingua parlassero. I risultati mostrarono che senza alcun dubbio i popolani non erano capaci di comprendere i loro pastori. A questo punto in poi la politica franca cominciò a cambiare.
Il Giuramento di Strasburgo, formulato in Antico Alto Tedesco e in una forma ancora grossolana di lingua neolatina sono una testimonianza della volontà di comunicazione di Carlo il Calvo (823 - 877) e di Ludovico il Germanico (804 ? - 876). Carlo giurò in tedesco antico e Ludovico in romanzo, per farsi capire dai rispettivi eserciti, ma è del tutto chiaro che entrambi i sovrani, che erano fratelli, si esprimevano nel loro ambiente usando la stessa lingua avita.
Ludovico: Pro Deo amur et pro christian poblo et nostro commun salvament, d'ist di in avant, in quant Deus savir et podir me dunat, si salvarai eo cist meon fradre Karlo et in aiudha et in cadhuna cosa, si cum om per dreit son fradra salvar dift, in o quid il mi altresi fazet et ab Ludher nul plaid nunquam prindrai, qui, meon vol, cist meon fradre Karle in damno sit.
Carlo: In Godes minna ind in thes christianes folches ind unser bedhero gehaltnissi, fon thesemo dage frammordes, so fram so mir Got gewizci indi mahd furgibit, so haldih thesan minan bruodher, soso man mit rehtu sinan bruher scal, in thiu thaz er mig so sama duo, indi mit Ludheren in nohheiniu thing ne gegango, the minan willon, imo ce scadhen werdhen.
Esercito di Carlo: Si Lodhuvigs sagrament que san fradre Karlo jurat conservat et Karlus, meos sendra, de suo part non l'ostanit, si io returnar non l'int pois, ne io ne neuls cui eo returnar int pois, in nulla aiudha contra Lodhuwig nun li iu er.
Esercito di Ludovico: Oba Karl then eid then er sinemo bruodher Ludhuwige gesuor geleistit, indi Ludhuwig, min herro, then er imo gesuor forbrihchit, ob ih inan es irwenden ne mag, noh ih noh thero nohhein, then ih es irwenden mag, widhar Karle imo ce follusti ne wirdoohg.
Per rendere il tutto più chiaro ai lettori, fornisco alcuni scritti germanici dell'epoca, esempi rappresentativi dell'Alto Tedesco: diverse versioni del Padre Nostro, che i missionari cristiani sentirono di non poter comunicare direttamente nella forma latina.
Questa è la versione nella lingua degli Alemanni di San Gallo, risalente all'VIII secolo d.C.:
Fater unseer, thu pist in himile,
uuihi namun dinan,
qhueme rihhi diin,
uuerde uuillo diin,
so in himile sosa in erdu.
prooth unseer emezzihic kip uns hiutu,
oblaz uns sculdi unsero,
so uuir oblazem uns skuldikem,
enti ni unsih firleiti in khorunka,
uzzer losi unsih fona ubile.
Questa è la versione nella lingua dei Franchi della Renania Meridionale, databile al IX secolo d.C.:
Fater unsēr, thu in himilom bist,
giuuīhit sī namo thīn.
quaeme rīchi thīn.
uuerdhe uuilleo thīn,
sama sō in himile endi in erthu.
Brooth unseraz emezzīgaz gib uns hiutu.
endi farlāz uns sculdhi unsero,
sama sō uuir farlāzzēm scolōm unserēm.
endi ni gileidi unsih in costunga.
auh arlōsi unsih fona ubile.
Per ultima, riporto la versione nella lingua dei Franchi Orientali, sempre del IX secolo.
Fater unser, thū thār bist in himile,
sī geheilagōt thīn namo,
queme thīn rīhhi,
sī thīn uuillo,
sō her in himile ist, sō sī her in erdu,
unsar brōt tagalīhhaz gib uns hiutu,
inti furlāz uns unsara sculdi
sō uuir furlāzemēs unsarēn sculdīgōn,
inti ni gileitēst unsih in costunga,
ūzouh arlōsi unsih fon ubile.
Si paragonino ora questi testi con la preghiera in Gotico redatta dal vescovo ariano Wulfila nel IV secolo d.C.:
Atta unsar, thu in himinam,
weihnai namo thein,
qimai thiudinassus theins,
wairthai wilja theins,
swe in himina jah ana airthai.
Hlaif unsarana thana sinteinan gif uns himma daga,
jah aflet uns thatei skulans sijaima,
swaswe jah weis afletam thaim skulam unsaraim,
jah ni briggais uns in fraistubnjai,
ak lausei uns af thamma ubilin;
unte theina ist thiudangardi
jah mahts jah wulthus in aiwins.
Amen. http://antikosmikos.splinder.com:80/post/15057229/La+Conoscenza+smaschera+gli+im
postato da: antares666 alle ore 11:27 | link | commenti
categorie: cultura, documenti, storiahttp://antikosmikos.splinder.com:80/post/15057229/La+Conoscenza+smaschera+gli+im
Quando si formulano ipotesi infondate, come fa Dan Brown, si dovrebbe sempre aver ben presente il contesto dell'epoca in cui si ambientano le proprie fantasie. A proporsito dell'ormai annosa teoria del Sangreal, giova tener presente che i Franchi non erano Francesi nel senso moderno del termine. Erano un'unione di popoli germanici che parlavano dialetti appartenenti all'area dell'Antico Alto Tedesco. Non si esprimevano in idioni romanzi come la Lingua d'Oil, all'epoca neppure pienamente formata. Non potevano capirsi con i loro popolani. I Merovingi non si curavano di certo del problema. Carlo Magno, figlio del distruttore della dinastia di Meroveo, si cullava ancora nell'assurda illusione che i suoi sudditi si esprimessero nel Latino degli antichi Romani, integro e puro come quello di Cicerone, come quello di Giulio Cesare.
Questo sovrano, cresciuto analfabeta e rozzo, era tanto distante dalla cultura delle genti del suo regno da ignorare persino l'uso del formaggio. Furono dei monaci a fargli conoscere questo alimento, e all'inizio il chiomuto sovrano ne fu disgustato perché non sapeva come mangiarlo: addentò la rancida crosta come prima cosa e la sputò schifato, chiedendosi come mai potesse un essere umano godere un cibo tanto immondo. Solo come gli fu insegnato a mangiare la polpa, divenne un grande estimatore della produzione casearia.
Fu Alcuino, monaco dottissimo, a mettere a Carlo la pulce nell'orecchio, e questi ordinò un'indagine accurata tra le genti sottoposte al suo potere per accertare quale lingua parlassero. I risultati mostrarono che senza alcun dubbio i popolani non erano capaci di comprendere i loro pastori. A questo punto in poi la politica franca cominciò a cambiare.
Il Giuramento di Strasburgo, formulato in Antico Alto Tedesco e in una forma ancora grossolana di lingua neolatina sono una testimonianza della volontà di comunicazione di Carlo il Calvo (823 - 877) e di Ludovico il Germanico (804 ? - 876). Carlo giurò in tedesco antico e Ludovico in romanzo, per farsi capire dai rispettivi eserciti, ma è del tutto chiaro che entrambi i sovrani, che erano fratelli, si esprimevano nel loro ambiente usando la stessa lingua avita.
Ludovico: Pro Deo amur et pro christian poblo et nostro commun salvament, d'ist di in avant, in quant Deus savir et podir me dunat, si salvarai eo cist meon fradre Karlo et in aiudha et in cadhuna cosa, si cum om per dreit son fradra salvar dift, in o quid il mi altresi fazet et ab Ludher nul plaid nunquam prindrai, qui, meon vol, cist meon fradre Karle in damno sit.
Carlo: In Godes minna ind in thes christianes folches ind unser bedhero gehaltnissi, fon thesemo dage frammordes, so fram so mir Got gewizci indi mahd furgibit, so haldih thesan minan bruodher, soso man mit rehtu sinan bruher scal, in thiu thaz er mig so sama duo, indi mit Ludheren in nohheiniu thing ne gegango, the minan willon, imo ce scadhen werdhen.
Esercito di Carlo: Si Lodhuvigs sagrament que san fradre Karlo jurat conservat et Karlus, meos sendra, de suo part non l'ostanit, si io returnar non l'int pois, ne io ne neuls cui eo returnar int pois, in nulla aiudha contra Lodhuwig nun li iu er.
Esercito di Ludovico: Oba Karl then eid then er sinemo bruodher Ludhuwige gesuor geleistit, indi Ludhuwig, min herro, then er imo gesuor forbrihchit, ob ih inan es irwenden ne mag, noh ih noh thero nohhein, then ih es irwenden mag, widhar Karle imo ce follusti ne wirdoohg.
Per rendere il tutto più chiaro ai lettori, fornisco alcuni scritti germanici dell'epoca, esempi rappresentativi dell'Alto Tedesco: diverse versioni del Padre Nostro, che i missionari cristiani sentirono di non poter comunicare direttamente nella forma latina.
Questa è la versione nella lingua degli Alemanni di San Gallo, risalente all'VIII secolo d.C.:
Fater unseer, thu pist in himile,
uuihi namun dinan,
qhueme rihhi diin,
uuerde uuillo diin,
so in himile sosa in erdu.
prooth unseer emezzihic kip uns hiutu,
oblaz uns sculdi unsero,
so uuir oblazem uns skuldikem,
enti ni unsih firleiti in khorunka,
uzzer losi unsih fona ubile.
Questa è la versione nella lingua dei Franchi della Renania Meridionale, databile al IX secolo d.C.:
Fater unsēr, thu in himilom bist,
giuuīhit sī namo thīn.
quaeme rīchi thīn.
uuerdhe uuilleo thīn,
sama sō in himile endi in erthu.
Brooth unseraz emezzīgaz gib uns hiutu.
endi farlāz uns sculdhi unsero,
sama sō uuir farlāzzēm scolōm unserēm.
endi ni gileidi unsih in costunga.
auh arlōsi unsih fona ubile.
Per ultima, riporto la versione nella lingua dei Franchi Orientali, sempre del IX secolo.
Fater unser, thū thār bist in himile,
sī geheilagōt thīn namo,
queme thīn rīhhi,
sī thīn uuillo,
sō her in himile ist, sō sī her in erdu,
unsar brōt tagalīhhaz gib uns hiutu,
inti furlāz uns unsara sculdi
sō uuir furlāzemēs unsarēn sculdīgōn,
inti ni gileitēst unsih in costunga,
ūzouh arlōsi unsih fon ubile.
Si paragonino ora questi testi con la preghiera in Gotico redatta dal vescovo ariano Wulfila nel IV secolo d.C.:
Atta unsar, thu in himinam,
weihnai namo thein,
qimai thiudinassus theins,
wairthai wilja theins,
swe in himina jah ana airthai.
Hlaif unsarana thana sinteinan gif uns himma daga,
jah aflet uns thatei skulans sijaima,
swaswe jah weis afletam thaim skulam unsaraim,
jah ni briggais uns in fraistubnjai,
ak lausei uns af thamma ubilin;
unte theina ist thiudangardi
jah mahts jah wulthus in aiwins.
Amen. http://antikosmikos.splinder.com:80/post/15057229/La+Conoscenza+smaschera+gli+im
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ATICOLO DI ANTARES666 SULLA PUREZZA DI GESU'
Cristo non generò figli
22. Nessuno nasconde un oggetto prezioso in un recipiente di grande valore, ma spesso tesori incalcolabili sono posti in un recipiente del valore di un asse. Cosi è per l'anima: essa è un oggetto prezioso ed è venuta a trovarsi in un corpo spregevole.
23. Vi sono certuni che hanno paura di risuscitare nudi. Per questo essi vogliono risuscitare nella carne, e non sanno che quelli che portano la carne, proprio essi sono nudi. Quelli che spogliano se stessi fino ad essere nudi, non sono nudi. Né carne né sangue possono ereditare il Regno di Dio. Qual'è quello che non erediterà? Il corpo che noi abbiamo. Qual'è invece quello che erediterà? Quello di Gesù e il suo sangue. È per questo che egli ha detto: "Chi non mangerà la mia carne (Logos) e non berrà il mio sangue non ha la vita in se stesso". E cosa sono queste cose? La sua carne è il Logos e il suo sangue è lo Spirito Santo (anima). Chi ha ricevuto queste cose ha cibo, bevanda e vestito. Io, poi, biasimo anche gli altri, quelli che dicono che non si risusciterà. Infatti ambedue sono in errore. Tu dici che la carne non risusciterà: dimmi allora che cosa risusciterà, affinché noi possiamo renderti onore. Tu dici che lo Spirito è dentro la carne, che c'è pure questa luce dentro la carne. Ma è il Logos, quest'altro che è nella carne! In questa carne (Logos) in cui Tutto esiste, bisogna dunque risuscitare.
24. In questo mondo, quelli che indossano i vestiti (anime) sono superiori ai vestiti (corpo); nel Regno dei Cieli i vestiti (spirito) sono superiori a quelli che li indossano, per l'acqua ed il fuoco che purificano tutto il luogo.
Dal Vangelo di Filippo, testo gnostico
Peccato che Michael Baigent e Dan Brown non abbiano letto con la dovuta attenzione questi splendidi passi docetici, visto che citano proprio il Vangelo di Filippo per giustificare l'assurda idea di un matrimonio carnale e fecondo tra Cristo e la Maddalena. Ad esempio, il Codice Da Vinci riporta il capo 55 in forma volutamente mutila:
La compagna del Salvatore è Maria Maddalena. Cristo la amava più di tutti gli altri discepoli e soleva spesso baciarla sulla bocca. Gli altri discepoli ne furono offesi ed espressero disapprovazione. Gli dissero: "Perché la ami più di tutti noi?"
Evita con cura di citarne l'inizio:
La Sofia, che è chiamata sterile, è la madre degli angeli.
Naturalmente né Cristo né la Sofia sono mai state persone di carne, e il matrimonio di cui parlano i testi gnostici non è affatto l'unione fisica tra uomo e donna. Il matrimonio di Cristo con Sofia è incorruttibile ed è ciò che lega lo Spirito all'Anima, non come la vita di coppia che è meretricio e lupanare.
Il bacio sulla bocca era una tradizione antichissima che risale ai tempi apostolici. La sua memoria si trasmise, tanto che era ben conosciuto ai Buoni Uomini. Il rituale di saluto prevedeva i cosiddetti Baci della Pace (Caretas), tre sulle guance e uno sulla bocca, ritenuta veicolo di trasmissione del Logos. Sempre il Vangelo di Filippo riporta al capo 33:
Colui che si nutre dalla bocca, se di lì è uscito il Logos verbo di verità, dovrà essere nutrito dalla bocca, e diventare "perfetto". Perché il perfetto diventa fecondo per mezzo di un bacio, e genera. Per questo motivo anche noi ci baciamo l'un l'altro, e concepiamo l'uno dall'altro, per opera della grazia che è in noi.
A questo punto la dinamica che ha presieduto alla composizione di un mostruoso falso storico come il Codice Da Vinci si rivela nella sua desolante chiarezza. Dato il loro profondo materialismo, Baigent e Brown hanno fantasticato troppo su questo bacio in bocca trasformandolo con malizia in un bacio in bocca, e quindi sono passati senza indugio a presentarlo come irrefutabile prova di una relazione sessuale.
Anche la dottrina di Cristo come semplice uomo di carne nasce da una perversa lettura del testo gnostico: chi l'ha formulata è inconsapevole della dottrina dell'Uomo Celeste, che non fu certo plasmato nel fango, e molto difficilmente può aver capito cos'è un Eone. Data la negazione della resurrezione corporea, il passo successivo è stato affermare la sola alternativa possibile che dei pragmatisti americani sono in grado concepire: la nuda umanità terrena.
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categorie: documenti, gnosticismo, catarismo, docetismo, polemistica, falsi storici
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22. Nessuno nasconde un oggetto prezioso in un recipiente di grande valore, ma spesso tesori incalcolabili sono posti in un recipiente del valore di un asse. Cosi è per l'anima: essa è un oggetto prezioso ed è venuta a trovarsi in un corpo spregevole.
23. Vi sono certuni che hanno paura di risuscitare nudi. Per questo essi vogliono risuscitare nella carne, e non sanno che quelli che portano la carne, proprio essi sono nudi. Quelli che spogliano se stessi fino ad essere nudi, non sono nudi. Né carne né sangue possono ereditare il Regno di Dio. Qual'è quello che non erediterà? Il corpo che noi abbiamo. Qual'è invece quello che erediterà? Quello di Gesù e il suo sangue. È per questo che egli ha detto: "Chi non mangerà la mia carne (Logos) e non berrà il mio sangue non ha la vita in se stesso". E cosa sono queste cose? La sua carne è il Logos e il suo sangue è lo Spirito Santo (anima). Chi ha ricevuto queste cose ha cibo, bevanda e vestito. Io, poi, biasimo anche gli altri, quelli che dicono che non si risusciterà. Infatti ambedue sono in errore. Tu dici che la carne non risusciterà: dimmi allora che cosa risusciterà, affinché noi possiamo renderti onore. Tu dici che lo Spirito è dentro la carne, che c'è pure questa luce dentro la carne. Ma è il Logos, quest'altro che è nella carne! In questa carne (Logos) in cui Tutto esiste, bisogna dunque risuscitare.
24. In questo mondo, quelli che indossano i vestiti (anime) sono superiori ai vestiti (corpo); nel Regno dei Cieli i vestiti (spirito) sono superiori a quelli che li indossano, per l'acqua ed il fuoco che purificano tutto il luogo.
Dal Vangelo di Filippo, testo gnostico
Peccato che Michael Baigent e Dan Brown non abbiano letto con la dovuta attenzione questi splendidi passi docetici, visto che citano proprio il Vangelo di Filippo per giustificare l'assurda idea di un matrimonio carnale e fecondo tra Cristo e la Maddalena. Ad esempio, il Codice Da Vinci riporta il capo 55 in forma volutamente mutila:
La compagna del Salvatore è Maria Maddalena. Cristo la amava più di tutti gli altri discepoli e soleva spesso baciarla sulla bocca. Gli altri discepoli ne furono offesi ed espressero disapprovazione. Gli dissero: "Perché la ami più di tutti noi?"
Evita con cura di citarne l'inizio:
La Sofia, che è chiamata sterile, è la madre degli angeli.
Naturalmente né Cristo né la Sofia sono mai state persone di carne, e il matrimonio di cui parlano i testi gnostici non è affatto l'unione fisica tra uomo e donna. Il matrimonio di Cristo con Sofia è incorruttibile ed è ciò che lega lo Spirito all'Anima, non come la vita di coppia che è meretricio e lupanare.
Il bacio sulla bocca era una tradizione antichissima che risale ai tempi apostolici. La sua memoria si trasmise, tanto che era ben conosciuto ai Buoni Uomini. Il rituale di saluto prevedeva i cosiddetti Baci della Pace (Caretas), tre sulle guance e uno sulla bocca, ritenuta veicolo di trasmissione del Logos. Sempre il Vangelo di Filippo riporta al capo 33:
Colui che si nutre dalla bocca, se di lì è uscito il Logos verbo di verità, dovrà essere nutrito dalla bocca, e diventare "perfetto". Perché il perfetto diventa fecondo per mezzo di un bacio, e genera. Per questo motivo anche noi ci baciamo l'un l'altro, e concepiamo l'uno dall'altro, per opera della grazia che è in noi.
A questo punto la dinamica che ha presieduto alla composizione di un mostruoso falso storico come il Codice Da Vinci si rivela nella sua desolante chiarezza. Dato il loro profondo materialismo, Baigent e Brown hanno fantasticato troppo su questo bacio in bocca trasformandolo con malizia in un bacio in bocca, e quindi sono passati senza indugio a presentarlo come irrefutabile prova di una relazione sessuale.
Anche la dottrina di Cristo come semplice uomo di carne nasce da una perversa lettura del testo gnostico: chi l'ha formulata è inconsapevole della dottrina dell'Uomo Celeste, che non fu certo plasmato nel fango, e molto difficilmente può aver capito cos'è un Eone. Data la negazione della resurrezione corporea, il passo successivo è stato affermare la sola alternativa possibile che dei pragmatisti americani sono in grado concepire: la nuda umanità terrena.
postato da: antares666 alle ore 18:01 | link | commenti
categorie: documenti, gnosticismo, catarismo, docetismo, polemistica, falsi storici
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sabato 13 dicembre 2008
MADDALENA SUPERSTAR
RISCOPERTE Mentre esce un capolavoro sconosciuto del Seicento dedicato alla santa piu' scandalosa, Giovanni Pozzi ripercorre una leggenda sacra e profana
MADDALENA SUPERSTAR
Tre personaggi in uno: peccatrice, convertita, mistica
------------------------- PUBBLICATO ------------------------------ RISCOPERTE Mentre esce un capolavoro sconosciuto del Seicento dedicato alla santa piu' scandalosa, Giovanni Pozzi ripercorre una leggenda sacra e profana dal nostro inviato PAOLO DI STEFANO TITOLO: SUPERSTAR Tre personaggi in uno: peccatrice, convertita, mistica "Tutto comincio' dai Vangeli. Poi vennero le agiografie, i madrigali, i poemi barocchi e un curioso romanzo quello del nobile genovese Brignole Sale. Per narrare una vita prima libertina, poi casta, infine ascetica" - - - - - - - - - - - - - - - - - - - - - - - - - - - - - - - - - - - NLUGANO obile per nascita, un' infanzia felice anche se vissuta severamente, poi la morte dei genitori. Maria Maddalena trascorre in liberta' gli "anni piu' bollenti". Una giovinezza in cui il mondo le appare "tutto latte, tutto miele, tutto delizie", una bellezza candida e splendente: i denti come perle, le labbra come rose, gli occhi come stelle o aurore, il "biondo crine". Il suo corpo e' una calamita capace di attrarre a se' i cuori. Una grazia che si confonde con la grazia di Venere. E "il fuoco della gioventu' " divampa impetuoso quando viene meno "la custodia d' una madre guardinga". Verra' il tempo del peccato e della lussuria sfrenata. Ma la sorella Marta la convincera' a conoscere "un giovane di belta' piu' che naturale". Quel giovane e' Gesu' di Nazareth. Ed ecco l' incontro, ecco la conversione: "Corsele per ogni vena un orror confuso di vergogna... senti' cadersi Maddalena rotto in mille pezzi l' antico cuore e crearsene un nuovo". Ma la leggenda continua, e racconta il pentimento pubblico di Maria Maddalena, che con le sue lacrime lavera' i piedi di Cristo, e li asciughera' con i lunghi capelli; Gesu' fara' risorgere suo fratello Lazzaro; lei lo accompagnera' ovunque, fino alla croce e dopo la morte Gesu' le annuncera' la sua resurrezione. Maddalena andra' predicando, sara' perseguitata dai giudei, viaggera' per mare e miracolosamente trovera' riparo presso Marsiglia. Li' comincia la sua vita eremitica, il digiuno, l' autofustigazione, l' estasi. Tutto questo ci viene narrato da un nobile genovese del Seicento, Anton Giulio Brignole Sale, in un libro considerato il capolavoro del romanzo religioso italiano: Maria Maddalena peccatrice e convertita. Scritto nel 1636, ci viene ora riproposto in una edizione a cura di Delia Eusebio nella collezione Pietro Bembo (Guanda, pagg. 541, lire 58.000) diretta da Dante Isella e Giovanni Pozzi. Prosimetrum, un' opera cioe' che alterna prosa e versi, il romanzo di Brignole Sale contiene e sviluppa tutti i motivi della leggenda di Maria Maddalena, forse la santa piu' scandalosa e piu' ambigua della storia del cristianesimo. Dipinta e glorificata da eserciti di artisti, fino a Rosai e De Chirico; cantata da eserciti di poeti, narrata da eserciti di scrittori fino al nostro secolo, compresa Marguerite Yourcenar. Persino messa in musica, per esempio da Claudio Monteverdi. Discussa in convegni, assunta a tema di mostre monografiche (si ricordera' quella di Palazzo Pitti a Firenze nell' 86). Soprattutto, Maria Maddalena viene frequentata dalla leggenda e dalla agiografia, dalla devozione e dal culto, ben prima che Martin Scorsese, nell' Ultima tentazione di Cristo, il film "blasfemo" del 1988, affidasse le sue spudorate sembianze a Barbara Hershey. "Me ne infischio, io, del Regno dei cieli! E' la terra che mi piace; voglio sposarmi, sposare Maddalena, e peggio per me se e' una prostituta, e' colpa mia se lo e' diventata, sono io che la salvero' ...", dira' Gesu' nel romanzo di Kazantzakis da cui Scorsese ha tratto il suo film. Per affrontare la complessita' di un personaggio che non finisce di eccitare la fantasia contemporanea, abbiamo incontrato Giovanni Pozzi, padre minore cappuccino, nato a Locarno nel 1923, allievo di Billanovich e di Contini, per tre decenni professore di Letteratura italiana all' Universita' svizzera di Friburgo, filologo e studioso della poesia barocca, in particolare di Giovan Battista Marino (sua e' l' edizione dell' Adone); indagatore, tra l' altro, dell' oratoria sacra, dei rapporti intimi tra parola e immagine nel Seicento, della "poesia per gioco", degli enigmi iconico poetici. La sua ultima raccolta di saggi, dopo La parola dipinta, si intitola Sull' orlo del visibile parlare (Adelphi). . Padre Pozzi, come si sviluppa l' immensa fortuna di Maria Maddalena? "La sua fortuna letteraria e artistica, che risale all' alto Medioevo e a ondate successive arriva fino a noi, va tenuta ben distinta rispetto alla fortuna devozionale e alla leggenda, anche se vi si collega per molti aspetti. Il personaggio di Maria Maddalena nasce dai Vangeli e sin dall' inizio si sviluppa in due direzioni: da una parte negli apocrifi, dall' altra negli gnostici. E' noto che la leggenda confonde tre Marie evangeliche: Maria di Magdala, dalla quale erano usciti sette demoni e che ha seguito il Cristo sul Calvario; Maria di Betania, che fu rimproverata dalla sorella Marta e difesa da Gesu' , ed e' la sorella di Lazzaro; e la generica convertita di cui parla Luca, che ottenne da Gesu' il perdono dei propri peccati. In Giovanni, Gesu' risorge a Maddalena, che diverra' la sua prima messaggera. Sono tutti episodi molto suggestivi che vengono fusi in un solo personaggio dalla leggenda". . Perche' questa fusione? "La sintesi si deve a Gregorio Magno e si impone in Occidente. Dal IX secolo, le "vite dei santi", che fioriscono con il rafforzarsi della devozione, divulgano la leggenda di una Maria Maddalena che unisce in se' le tre figure evangeliche. Ormai la filologia testamentaria e' favorevole alla distinzione. In Oriente i tre personaggi sono sempre rimasti separati". . Ma che cosa viene aggiunto dalla leggenda rispetto alle informazioni evangeliche? "La leggenda completa e ricostruisce le vicende della santa dopo l' ascensione di Cristo, per esempio il viaggio su una nave senza timone che si conclude per miracolo con l' approdo a Marsiglia. Poi, tutta la parte penitenziale, la vita eremitica nella grotta di Sainte Baume vicino a Marsiglia. Questo e' il risultato di un altro innesto, quello della leggenda di Maria Egiziaca, un personaggio inventato che non fa concorrenza a Maria Maddalena ma la completa". . Questo cumulo di personaggi in uno contribuisce all' ambiguita' di Maria Maddalena e alla possibilita' di raffigurazioni e di letture diverse... "Certo. Per esempio, prendiamo un fatto in fondo poco spettacolare ma molto significativo e di grande impatto: la Maria Maddalena che sta ai piedi della croce commette un' infrazione perche' ai piedi della croce dovrebbe stare un discepolo. Ma quell' infrazione Gesu' la approva e quell' episodio permettera' a Maria Maddalena di assumere un ruolo molto importante nella promozione della donna. Forse e' per questo che ha avuto tanta fortuna presso gli gnostici. Poi, e' chiaro che i diversi momenti storici mettono in evidenza un aspetto della santa e ne tengono in ombra altri". . In questo senso, allora, il romanzo di Brignole Sale si puo' considerare una "summa" dei motivi che accompagnano il personaggio di Maria Maddalena? "Dal punto di vista della vicenda, Brignole Sale non inventa assolutamente nulla. La vita di Maddalena e' quella data dall' agiografia. Brignole Sale ricama sui motivi, soprattutto sulla bellezza nei suoi vari aspetti, che e' il motivo segreto che percorre tutto il romanzo, cosi' come altre metafore: il fuoco, rappresentato prima dalle fiamme del desiderio e poi dal pallore della cenere; e poi l' acqua, il pianto, le lacrime. Questi motivi torneranno combinati in tutti i modi possibili. Il fatto piu' significativo e' che Brignole Sale adotta la forma romanzo, un genere di consumo ancora agli inizi, assumendo un argomento sacro che si presta bene alla rappresentazione della bellezza. Negli inserti poetici, che sono delle amplificazioni, Brignole Sale sviluppa le sue fantasie barocche. Va detto, tra l' altro, che l' autore scrisse questo libro prima della conversione, quindi ha molte venature libertine, e' un tipico impasto barocco di sacro e profano. Come la sua eroina, del resto: per questo piace tanto al gusto moderno". . Ma come si puo' consigliare la lettura di Brignole Sale al lettore moderno? "Consiglierei di leggere il romanzo a piccole porzioni, magari seguendo l' indice tematico (erano gli autori secenteschi stessi a compilare indici tematici per le loro opere), saltando qua e la' a seconda dei temi, che sono come lanterne magiche. La lingua e l' eccesso di metafore possono essere d' ostacolo a una lettura continuata. Sarebbe come mangiare un cibo con troppa salsa". . Dunque, e' la metamorfosi di Maria Maddalena a sollecitare diversi punti di vista. Puo' fare qualche esempio sul piano figurativo? "La rappresentazione iconografica della Maddalena viene da lontano: basti pensare alla pittura medievale. Il Beato Angelico la rappresenta attaccata ai piedi di Gesu' anche al momento della deposizione. Botticelli la ferma nell' attimo della conversione. Masaccio, nei primi del Quattrocento, la raffigura ai piedi della croce, in rosso, con lunghi capelli sciolti. Vincent Malo ce la fa vedere mentre lava i piedi al Cristo deposto. In pieno XV secolo, di solito abbiamo la figura di Maria Maddalena sola con un vaso di unguenti. Ovviamente, con una grande eccezione, quella di Donatello, straordinaria. Tra fine Quattro e inizio Cinquecento c' e' la cortigiana, elegante e con vesti sontuose, a volte discinta. Con Tiziano abbiamo la penitente nella grotta, ma il tema biblico e' un modo per evitare la censura di fronte alla nudita' : basti pensare a tutte le Susanne cinquecentesche al bagno. Sostituire Venere con una santa era un artificio per rispettare gli obblighi imposti dalla Chiesa. In altri casi, non c' e' nudo, come nei bellissimi dipinti di La Tour, per esempio quello con lo specchio. In Caravaggio trionfa l' estasi, cosi' come in Rubens. Le varianti sono moltissime: dalla rappresentazione erotica della peccatrice, a quella mistica e devozionale, a quella penitenziale, eccetera". . E la letteratura? "L' esplosione si ha nel Seicento, specialmente in Francia. Ricordo che in Francia nel Medioevo Maria Maddalena (le cui reliquie si conservano in tre luoghi: a Ve' zelay, a Marsiglia e a Efeso) viene assunta come rappresentante di un grande ordine monastico, quello di Cluny, e diventa la protettrice dell' eremitaggio. La sua importanza, in Francia, dura fino all' Ottocento, quando Maria Maddalena diventa la bandiera della restaurazione cattolica (penso, per esempio, al padre Lacordaire). Ma torniamo al barocco. L' autore piu' famoso che nel Seicento si occupa di Maddalena e' il provenzale Pierre de Saint Louis, il quale scrive un poema barocco straordinario che fu fonte di dileggio da parte della cultura francese, mal disposta verso il concettismo. Questo Pierre costruisce, attorno alla Maddalena, giochi incredibili, acrostici, anagrammi, metafore ardite. Poi c' e' una ricca serie di pezzi lirici, madrigali e sonetti: in Italia, Marino ne ha di bellissimi. Sarebbe inoltre straordinario raccogliere le prediche secentesche su Maria Maddalena come esempi della piu' incredibile eloquenza barocca". . Torniamo indietro, abbiamo dimenticato Aretino, che pure si interessa al personaggio. "Aretino, ovviamente, aveva i suoi buoni motivi per parlare di Maria Maddalena. Ma la assume come pendant dei personaggi piu' osceni, perche' gli serve giocare con la mistica". . E il Novecento? Testori, per esempio, fa un libro su Maddalena con proprie poesie accompagnate da molti quadri, soprattutto barocchi. "Lasciamo perdere Testori. Certo, poteva piacergli il personaggio di Maria Maddalena: ma i suoi ultimi testi sono le miscele disgustose di un dannunziano cattolico, piene di sporcizie. Crede di essere barocco, ma il barocco lombardo e' un' altra cosa".
Di Stefano Paolo
Pagina 23
(15 gennaio 1995) - Corriere della Sera
http://archiviostorico.corriere.it/1995/gennaio/15/MADDALENA_SUPERSTAR_co_0_950115699.shtml
MADDALENA SUPERSTAR
Tre personaggi in uno: peccatrice, convertita, mistica
------------------------- PUBBLICATO ------------------------------ RISCOPERTE Mentre esce un capolavoro sconosciuto del Seicento dedicato alla santa piu' scandalosa, Giovanni Pozzi ripercorre una leggenda sacra e profana dal nostro inviato PAOLO DI STEFANO TITOLO: SUPERSTAR Tre personaggi in uno: peccatrice, convertita, mistica "Tutto comincio' dai Vangeli. Poi vennero le agiografie, i madrigali, i poemi barocchi e un curioso romanzo quello del nobile genovese Brignole Sale. Per narrare una vita prima libertina, poi casta, infine ascetica" - - - - - - - - - - - - - - - - - - - - - - - - - - - - - - - - - - - NLUGANO obile per nascita, un' infanzia felice anche se vissuta severamente, poi la morte dei genitori. Maria Maddalena trascorre in liberta' gli "anni piu' bollenti". Una giovinezza in cui il mondo le appare "tutto latte, tutto miele, tutto delizie", una bellezza candida e splendente: i denti come perle, le labbra come rose, gli occhi come stelle o aurore, il "biondo crine". Il suo corpo e' una calamita capace di attrarre a se' i cuori. Una grazia che si confonde con la grazia di Venere. E "il fuoco della gioventu' " divampa impetuoso quando viene meno "la custodia d' una madre guardinga". Verra' il tempo del peccato e della lussuria sfrenata. Ma la sorella Marta la convincera' a conoscere "un giovane di belta' piu' che naturale". Quel giovane e' Gesu' di Nazareth. Ed ecco l' incontro, ecco la conversione: "Corsele per ogni vena un orror confuso di vergogna... senti' cadersi Maddalena rotto in mille pezzi l' antico cuore e crearsene un nuovo". Ma la leggenda continua, e racconta il pentimento pubblico di Maria Maddalena, che con le sue lacrime lavera' i piedi di Cristo, e li asciughera' con i lunghi capelli; Gesu' fara' risorgere suo fratello Lazzaro; lei lo accompagnera' ovunque, fino alla croce e dopo la morte Gesu' le annuncera' la sua resurrezione. Maddalena andra' predicando, sara' perseguitata dai giudei, viaggera' per mare e miracolosamente trovera' riparo presso Marsiglia. Li' comincia la sua vita eremitica, il digiuno, l' autofustigazione, l' estasi. Tutto questo ci viene narrato da un nobile genovese del Seicento, Anton Giulio Brignole Sale, in un libro considerato il capolavoro del romanzo religioso italiano: Maria Maddalena peccatrice e convertita. Scritto nel 1636, ci viene ora riproposto in una edizione a cura di Delia Eusebio nella collezione Pietro Bembo (Guanda, pagg. 541, lire 58.000) diretta da Dante Isella e Giovanni Pozzi. Prosimetrum, un' opera cioe' che alterna prosa e versi, il romanzo di Brignole Sale contiene e sviluppa tutti i motivi della leggenda di Maria Maddalena, forse la santa piu' scandalosa e piu' ambigua della storia del cristianesimo. Dipinta e glorificata da eserciti di artisti, fino a Rosai e De Chirico; cantata da eserciti di poeti, narrata da eserciti di scrittori fino al nostro secolo, compresa Marguerite Yourcenar. Persino messa in musica, per esempio da Claudio Monteverdi. Discussa in convegni, assunta a tema di mostre monografiche (si ricordera' quella di Palazzo Pitti a Firenze nell' 86). Soprattutto, Maria Maddalena viene frequentata dalla leggenda e dalla agiografia, dalla devozione e dal culto, ben prima che Martin Scorsese, nell' Ultima tentazione di Cristo, il film "blasfemo" del 1988, affidasse le sue spudorate sembianze a Barbara Hershey. "Me ne infischio, io, del Regno dei cieli! E' la terra che mi piace; voglio sposarmi, sposare Maddalena, e peggio per me se e' una prostituta, e' colpa mia se lo e' diventata, sono io che la salvero' ...", dira' Gesu' nel romanzo di Kazantzakis da cui Scorsese ha tratto il suo film. Per affrontare la complessita' di un personaggio che non finisce di eccitare la fantasia contemporanea, abbiamo incontrato Giovanni Pozzi, padre minore cappuccino, nato a Locarno nel 1923, allievo di Billanovich e di Contini, per tre decenni professore di Letteratura italiana all' Universita' svizzera di Friburgo, filologo e studioso della poesia barocca, in particolare di Giovan Battista Marino (sua e' l' edizione dell' Adone); indagatore, tra l' altro, dell' oratoria sacra, dei rapporti intimi tra parola e immagine nel Seicento, della "poesia per gioco", degli enigmi iconico poetici. La sua ultima raccolta di saggi, dopo La parola dipinta, si intitola Sull' orlo del visibile parlare (Adelphi). . Padre Pozzi, come si sviluppa l' immensa fortuna di Maria Maddalena? "La sua fortuna letteraria e artistica, che risale all' alto Medioevo e a ondate successive arriva fino a noi, va tenuta ben distinta rispetto alla fortuna devozionale e alla leggenda, anche se vi si collega per molti aspetti. Il personaggio di Maria Maddalena nasce dai Vangeli e sin dall' inizio si sviluppa in due direzioni: da una parte negli apocrifi, dall' altra negli gnostici. E' noto che la leggenda confonde tre Marie evangeliche: Maria di Magdala, dalla quale erano usciti sette demoni e che ha seguito il Cristo sul Calvario; Maria di Betania, che fu rimproverata dalla sorella Marta e difesa da Gesu' , ed e' la sorella di Lazzaro; e la generica convertita di cui parla Luca, che ottenne da Gesu' il perdono dei propri peccati. In Giovanni, Gesu' risorge a Maddalena, che diverra' la sua prima messaggera. Sono tutti episodi molto suggestivi che vengono fusi in un solo personaggio dalla leggenda". . Perche' questa fusione? "La sintesi si deve a Gregorio Magno e si impone in Occidente. Dal IX secolo, le "vite dei santi", che fioriscono con il rafforzarsi della devozione, divulgano la leggenda di una Maria Maddalena che unisce in se' le tre figure evangeliche. Ormai la filologia testamentaria e' favorevole alla distinzione. In Oriente i tre personaggi sono sempre rimasti separati". . Ma che cosa viene aggiunto dalla leggenda rispetto alle informazioni evangeliche? "La leggenda completa e ricostruisce le vicende della santa dopo l' ascensione di Cristo, per esempio il viaggio su una nave senza timone che si conclude per miracolo con l' approdo a Marsiglia. Poi, tutta la parte penitenziale, la vita eremitica nella grotta di Sainte Baume vicino a Marsiglia. Questo e' il risultato di un altro innesto, quello della leggenda di Maria Egiziaca, un personaggio inventato che non fa concorrenza a Maria Maddalena ma la completa". . Questo cumulo di personaggi in uno contribuisce all' ambiguita' di Maria Maddalena e alla possibilita' di raffigurazioni e di letture diverse... "Certo. Per esempio, prendiamo un fatto in fondo poco spettacolare ma molto significativo e di grande impatto: la Maria Maddalena che sta ai piedi della croce commette un' infrazione perche' ai piedi della croce dovrebbe stare un discepolo. Ma quell' infrazione Gesu' la approva e quell' episodio permettera' a Maria Maddalena di assumere un ruolo molto importante nella promozione della donna. Forse e' per questo che ha avuto tanta fortuna presso gli gnostici. Poi, e' chiaro che i diversi momenti storici mettono in evidenza un aspetto della santa e ne tengono in ombra altri". . In questo senso, allora, il romanzo di Brignole Sale si puo' considerare una "summa" dei motivi che accompagnano il personaggio di Maria Maddalena? "Dal punto di vista della vicenda, Brignole Sale non inventa assolutamente nulla. La vita di Maddalena e' quella data dall' agiografia. Brignole Sale ricama sui motivi, soprattutto sulla bellezza nei suoi vari aspetti, che e' il motivo segreto che percorre tutto il romanzo, cosi' come altre metafore: il fuoco, rappresentato prima dalle fiamme del desiderio e poi dal pallore della cenere; e poi l' acqua, il pianto, le lacrime. Questi motivi torneranno combinati in tutti i modi possibili. Il fatto piu' significativo e' che Brignole Sale adotta la forma romanzo, un genere di consumo ancora agli inizi, assumendo un argomento sacro che si presta bene alla rappresentazione della bellezza. Negli inserti poetici, che sono delle amplificazioni, Brignole Sale sviluppa le sue fantasie barocche. Va detto, tra l' altro, che l' autore scrisse questo libro prima della conversione, quindi ha molte venature libertine, e' un tipico impasto barocco di sacro e profano. Come la sua eroina, del resto: per questo piace tanto al gusto moderno". . Ma come si puo' consigliare la lettura di Brignole Sale al lettore moderno? "Consiglierei di leggere il romanzo a piccole porzioni, magari seguendo l' indice tematico (erano gli autori secenteschi stessi a compilare indici tematici per le loro opere), saltando qua e la' a seconda dei temi, che sono come lanterne magiche. La lingua e l' eccesso di metafore possono essere d' ostacolo a una lettura continuata. Sarebbe come mangiare un cibo con troppa salsa". . Dunque, e' la metamorfosi di Maria Maddalena a sollecitare diversi punti di vista. Puo' fare qualche esempio sul piano figurativo? "La rappresentazione iconografica della Maddalena viene da lontano: basti pensare alla pittura medievale. Il Beato Angelico la rappresenta attaccata ai piedi di Gesu' anche al momento della deposizione. Botticelli la ferma nell' attimo della conversione. Masaccio, nei primi del Quattrocento, la raffigura ai piedi della croce, in rosso, con lunghi capelli sciolti. Vincent Malo ce la fa vedere mentre lava i piedi al Cristo deposto. In pieno XV secolo, di solito abbiamo la figura di Maria Maddalena sola con un vaso di unguenti. Ovviamente, con una grande eccezione, quella di Donatello, straordinaria. Tra fine Quattro e inizio Cinquecento c' e' la cortigiana, elegante e con vesti sontuose, a volte discinta. Con Tiziano abbiamo la penitente nella grotta, ma il tema biblico e' un modo per evitare la censura di fronte alla nudita' : basti pensare a tutte le Susanne cinquecentesche al bagno. Sostituire Venere con una santa era un artificio per rispettare gli obblighi imposti dalla Chiesa. In altri casi, non c' e' nudo, come nei bellissimi dipinti di La Tour, per esempio quello con lo specchio. In Caravaggio trionfa l' estasi, cosi' come in Rubens. Le varianti sono moltissime: dalla rappresentazione erotica della peccatrice, a quella mistica e devozionale, a quella penitenziale, eccetera". . E la letteratura? "L' esplosione si ha nel Seicento, specialmente in Francia. Ricordo che in Francia nel Medioevo Maria Maddalena (le cui reliquie si conservano in tre luoghi: a Ve' zelay, a Marsiglia e a Efeso) viene assunta come rappresentante di un grande ordine monastico, quello di Cluny, e diventa la protettrice dell' eremitaggio. La sua importanza, in Francia, dura fino all' Ottocento, quando Maria Maddalena diventa la bandiera della restaurazione cattolica (penso, per esempio, al padre Lacordaire). Ma torniamo al barocco. L' autore piu' famoso che nel Seicento si occupa di Maddalena e' il provenzale Pierre de Saint Louis, il quale scrive un poema barocco straordinario che fu fonte di dileggio da parte della cultura francese, mal disposta verso il concettismo. Questo Pierre costruisce, attorno alla Maddalena, giochi incredibili, acrostici, anagrammi, metafore ardite. Poi c' e' una ricca serie di pezzi lirici, madrigali e sonetti: in Italia, Marino ne ha di bellissimi. Sarebbe inoltre straordinario raccogliere le prediche secentesche su Maria Maddalena come esempi della piu' incredibile eloquenza barocca". . Torniamo indietro, abbiamo dimenticato Aretino, che pure si interessa al personaggio. "Aretino, ovviamente, aveva i suoi buoni motivi per parlare di Maria Maddalena. Ma la assume come pendant dei personaggi piu' osceni, perche' gli serve giocare con la mistica". . E il Novecento? Testori, per esempio, fa un libro su Maddalena con proprie poesie accompagnate da molti quadri, soprattutto barocchi. "Lasciamo perdere Testori. Certo, poteva piacergli il personaggio di Maria Maddalena: ma i suoi ultimi testi sono le miscele disgustose di un dannunziano cattolico, piene di sporcizie. Crede di essere barocco, ma il barocco lombardo e' un' altra cosa".
Di Stefano Paolo
Pagina 23
(15 gennaio 1995) - Corriere della Sera
http://archiviostorico.corriere.it/1995/gennaio/15/MADDALENA_SUPERSTAR_co_0_950115699.shtml
SANTA MARIA MADDALENA
Il lungo viaggio della Maddalena
Autore: Riva, Sr. Maria Gloria Curatore: Mangiarotti, Don Gabriele
Fonte: CulturaCattolica.it
Santa M.Maddalena
Si è fatto un gran parlare di lei fin dai primi secoli della cristianità. Già da IV secolo, presso i greci, come testimoniano le omelie di san Giovanni Crisostomo e di Gregorio di Nissa, era ricordata con le sante donne che al mattino di Pasqua, quand'era ancora buio, corsero al sepolcro con gli aromi per completare la sepoltura del Signore Gesù. La seconda domenica dopo Pasqua era detta, appunto, «domenica delle mirrofore». In Palestina, a Betania, si ritrovano tracce del culto a Maria sorella di Lazzaro, che san Leone Magno fu tra i primi ad identificare con Maria Maddalena. Due santuari dedicati particolarmente a questa santa si trovano ad Efeso e Costantinopoli. Efeso vantava di essere in possesso della tomba della Maddalena, deposta in una caverna. Così ne parla il Sinassario Costantinopolitano ponendo la grotta della sua sepoltura a Efeso e associandola alla grotta dove trovarono rifugio i sette dormienti: Massimiano, Malco, Marciano, Dionisio, Giovanni, Serapione e Costantino. Questi, come narra la leggenda, si addormentarono per 159 anni sfuggendo alla persecuzione di Decio. Fonte di questa leggenda, e di quella legata a santa Maria Maddalena, è il celebre testo di Jacopo a Varagine (o da Varazze), vescovo di Genova del XIII secolo dal titolo Legenda Aurea, in cui sono narrate vita e gesta di innumerevoli santi.
Alla vita della Maddalena così come la racconta Jacopo da Varazze è dedicata una vetrata della cattedrale di Charter, mentre un affresco di Giotto sintetizza mirabilmente tutta la vicenda.
Nel bel mezzo del mare minaccioso una piccola barca senza remi sembra abbandonata al capriccio delle onde. Se nonché, seguendo la direzione dello sguardo della Maddalena e di un altro dei sei personaggi a bordo, ci si accorge che una misteriosa provvidenza vigila sulla rotta di quella imbarcazione precaria. Due angeli sembrano trainare, con la forza della loro presenza, la barca verso il porto, del quale si distinguono bene il faro e l‘attracco.
Secondo la Legenda Aurea, dopo che i discepoli furono partiti per evangelizzare il mondo, la Maddalena, per ordine di Pietro, fu affidata alle cure di san Massimino, uno dei settanta discepoli del Signore. Avvenne però che, tanto san Massimino, che la Maddalena, il fratello Lazzaro, la sorella Marta, Marcella serva di Marta e Sardonio il cieco nato guarito da Gesù, furono catturati insieme ad altri cristiani e condannati a morte. I miscredenti caricarono la Maddalena e i suoi cinque compagni sopra una barchetta senza né remi né timone e li abbandonarono ai marosi affinché affogassero. Dio però, vegliava su di loro e per mano di angeli li condusse a Marsiglia. Qui la Maddalena conobbe il Principe del luogo il quale, per propiziarsi gli dei, stava sacrificando agli idoli chiedendo di guarire la moglie dalla sterilità. Maria Maddalena lo supplicò di non farlo e parlò al Principe e alla consorte di Cristo, il Signore dei signori e del Padre suo, Dio degli dei. Il Principe e la moglie si lasciarono convincere affascinati com‘erano dal parlare infuocato di quella straniera. Poco dopo la Principessa restò in cinta e decisero così di salpare da Marsiglia alla volta di Roma per incontrare l'apostolo Pietro del quale tanto aveva raccontato la Maddalena. Lungo il tragitto però il Bambino morì e con lui anche la Madre. Il Principe, per non abbandonare la moglie in pasto ai pesci del mare, lasciò il suo corpo inerte su una spiaggia e continuò il viaggio verso Roma. Qui narrò a Pietro dell‘accaduto, l‘incontro con Maria di Magdala e la sorte toccata alla giovane moglie e al figlioletto che portava in grembo. Pietro lo confortò e lo portò con sé a Gerusalemme facendogli conoscere tutti i luoghi dove era passato il Signore Gesù. Dopo due anni il Principe fece ritorno, ma giunto nei pressi della spiaggia dove aveva abbandonato il corpo della moglie, vide un bimbetto correre lungo il mare e gettare sassi verso la nave. Il Principe attraccò e, con grande stupore si accorse che era proprio suo figlio, il quale si nutriva al seno della madre, nonostante questa giacesse senza vita. Allora il Principe capì che quel miracolo glielo aveva ottenuto Maria Maddalena e come la invocò, attribuendole in segno di gratitudine la maternità di quel figlio, la moglie incominciò a respirare e a riprendere vita.
L'affresco di Giotto sintetizza tutta la vicenda immortalando il momento in cui il Principe attracca all‘isolotto e scorge il corpo incorrotto della moglie nel quale si scorge il viso di un Bimbo rifugiato nel manto materno.
Questi tratti, del tutto leggendari, si mescolano con una seconda leggenda legata alla dinastia dei merovingi, secondo la quale il capostipite, di nome Mervee, nacque da un atto di violenza del mostro marino Quintotauro nei confronti della madre di Mervee, appunto. L‘assonanza del nome Mervee con quello di Maria Magdala fece il resto: Mervee divenne figlio della donna di Palestina nato dalla sua relazione con Gesù. Il fortunoso viaggio fino a Marsiglia fece sì che proprio in Francia avesse origine la vera stirpe di Sangue reale (Sang Real da cui SanGraal...)
Il tema della relazione di Cristo con Maria di Magdala lo si deve a una lettura del tutto distorta dell‘apocrifo vangelo di Filippo. Questo Vangelo, nato circa duecento anni dopo i Vangeli canonici, è sorto in un contesto di sette gnostiche che vietavano il matrimonio, nutrendo grande disprezzo nei confronti della corporeità. Il testo completo è stato rinvenuto nel 1945 a Nag Hammadi, ma alcuni frammenti erano noti fin dall‘antichità.
Il Vangelo di Filippo così parla della Maddalena: “Tre donne camminavano sempre con il Signore: Maria sua madre, Maria la sorella di lei e la Maddalena, la quale è detta sua compagna. Maria, in realtà, è sorella, madre e coniuge di lui” (versetto 32).E ancora al versetto 55: “La Sofia detta sterile è la madre degli angeli; la compagna di Cristo è la Maddalena. Il Signore amava Maria più di tutti i discepoli e la baciò più volte sulla bocca. Le altre donne, vedendo il suo amore per Maria, gli dissero: Perché ami lei più di noi tutte? Il Salvatore rispose loro: Come mai io non amo voi come lei?”
L‘antica Sofia, madre del mondo materiale (negli angeli si devono vedere i corpi celesti: pianeti costellazioni ecc.) è ormai sterile, al suo posto sta la vera Sofia, quella che esce dalla bocca del creatore ed è sposa dell‘anima di Cristo. Questa Sofia viene identificata con la Maddalena, la cui corporeità, come del resto quella di Cristo, è pura apparenza. Dalla corporeità - secondo il Vangelo di Filippo - è necessario, dunque, liberarsi ed entrare in un rapporto con Cristo del tutto spirituale, proprio come quello della Maddalena.
Da una lettura distorta di questo testo, ignara (o volutamente incurante) di certe teorie gnostiche, è nata la leggenda della relazione tra Cristo e la Maddalena che avrebbe generato la vera stirpe cristiana. Tracce del culto gnostico della Maddalena si possono ritrovare nelle basiliche paleocristiane di Cimatile (Otranto).
Se la Legenda Aurea, come altri testi spirituali quali quello del IX secolo di Rabano Mauro, arcivescovo di Magonza, hanno influenzato l'iconografia di Maria di Magdala, la lettura distorta del Vangelo di Filippo (e la sovrapposizione a questo di altri testi leggendari) ha avuto molta fortuna producendo una ricca letteratura, compreso il purtroppo celebre romanzo su un presunto codice da Vinci.
http://www.culturacattolica.it/default.asp?id=243&id_n=9387
Autore: Riva, Sr. Maria Gloria Curatore: Mangiarotti, Don Gabriele
Fonte: CulturaCattolica.it
Santa M.Maddalena
Si è fatto un gran parlare di lei fin dai primi secoli della cristianità. Già da IV secolo, presso i greci, come testimoniano le omelie di san Giovanni Crisostomo e di Gregorio di Nissa, era ricordata con le sante donne che al mattino di Pasqua, quand'era ancora buio, corsero al sepolcro con gli aromi per completare la sepoltura del Signore Gesù. La seconda domenica dopo Pasqua era detta, appunto, «domenica delle mirrofore». In Palestina, a Betania, si ritrovano tracce del culto a Maria sorella di Lazzaro, che san Leone Magno fu tra i primi ad identificare con Maria Maddalena. Due santuari dedicati particolarmente a questa santa si trovano ad Efeso e Costantinopoli. Efeso vantava di essere in possesso della tomba della Maddalena, deposta in una caverna. Così ne parla il Sinassario Costantinopolitano ponendo la grotta della sua sepoltura a Efeso e associandola alla grotta dove trovarono rifugio i sette dormienti: Massimiano, Malco, Marciano, Dionisio, Giovanni, Serapione e Costantino. Questi, come narra la leggenda, si addormentarono per 159 anni sfuggendo alla persecuzione di Decio. Fonte di questa leggenda, e di quella legata a santa Maria Maddalena, è il celebre testo di Jacopo a Varagine (o da Varazze), vescovo di Genova del XIII secolo dal titolo Legenda Aurea, in cui sono narrate vita e gesta di innumerevoli santi.
Alla vita della Maddalena così come la racconta Jacopo da Varazze è dedicata una vetrata della cattedrale di Charter, mentre un affresco di Giotto sintetizza mirabilmente tutta la vicenda.
Nel bel mezzo del mare minaccioso una piccola barca senza remi sembra abbandonata al capriccio delle onde. Se nonché, seguendo la direzione dello sguardo della Maddalena e di un altro dei sei personaggi a bordo, ci si accorge che una misteriosa provvidenza vigila sulla rotta di quella imbarcazione precaria. Due angeli sembrano trainare, con la forza della loro presenza, la barca verso il porto, del quale si distinguono bene il faro e l‘attracco.
Secondo la Legenda Aurea, dopo che i discepoli furono partiti per evangelizzare il mondo, la Maddalena, per ordine di Pietro, fu affidata alle cure di san Massimino, uno dei settanta discepoli del Signore. Avvenne però che, tanto san Massimino, che la Maddalena, il fratello Lazzaro, la sorella Marta, Marcella serva di Marta e Sardonio il cieco nato guarito da Gesù, furono catturati insieme ad altri cristiani e condannati a morte. I miscredenti caricarono la Maddalena e i suoi cinque compagni sopra una barchetta senza né remi né timone e li abbandonarono ai marosi affinché affogassero. Dio però, vegliava su di loro e per mano di angeli li condusse a Marsiglia. Qui la Maddalena conobbe il Principe del luogo il quale, per propiziarsi gli dei, stava sacrificando agli idoli chiedendo di guarire la moglie dalla sterilità. Maria Maddalena lo supplicò di non farlo e parlò al Principe e alla consorte di Cristo, il Signore dei signori e del Padre suo, Dio degli dei. Il Principe e la moglie si lasciarono convincere affascinati com‘erano dal parlare infuocato di quella straniera. Poco dopo la Principessa restò in cinta e decisero così di salpare da Marsiglia alla volta di Roma per incontrare l'apostolo Pietro del quale tanto aveva raccontato la Maddalena. Lungo il tragitto però il Bambino morì e con lui anche la Madre. Il Principe, per non abbandonare la moglie in pasto ai pesci del mare, lasciò il suo corpo inerte su una spiaggia e continuò il viaggio verso Roma. Qui narrò a Pietro dell‘accaduto, l‘incontro con Maria di Magdala e la sorte toccata alla giovane moglie e al figlioletto che portava in grembo. Pietro lo confortò e lo portò con sé a Gerusalemme facendogli conoscere tutti i luoghi dove era passato il Signore Gesù. Dopo due anni il Principe fece ritorno, ma giunto nei pressi della spiaggia dove aveva abbandonato il corpo della moglie, vide un bimbetto correre lungo il mare e gettare sassi verso la nave. Il Principe attraccò e, con grande stupore si accorse che era proprio suo figlio, il quale si nutriva al seno della madre, nonostante questa giacesse senza vita. Allora il Principe capì che quel miracolo glielo aveva ottenuto Maria Maddalena e come la invocò, attribuendole in segno di gratitudine la maternità di quel figlio, la moglie incominciò a respirare e a riprendere vita.
L'affresco di Giotto sintetizza tutta la vicenda immortalando il momento in cui il Principe attracca all‘isolotto e scorge il corpo incorrotto della moglie nel quale si scorge il viso di un Bimbo rifugiato nel manto materno.
Questi tratti, del tutto leggendari, si mescolano con una seconda leggenda legata alla dinastia dei merovingi, secondo la quale il capostipite, di nome Mervee, nacque da un atto di violenza del mostro marino Quintotauro nei confronti della madre di Mervee, appunto. L‘assonanza del nome Mervee con quello di Maria Magdala fece il resto: Mervee divenne figlio della donna di Palestina nato dalla sua relazione con Gesù. Il fortunoso viaggio fino a Marsiglia fece sì che proprio in Francia avesse origine la vera stirpe di Sangue reale (Sang Real da cui SanGraal...)
Il tema della relazione di Cristo con Maria di Magdala lo si deve a una lettura del tutto distorta dell‘apocrifo vangelo di Filippo. Questo Vangelo, nato circa duecento anni dopo i Vangeli canonici, è sorto in un contesto di sette gnostiche che vietavano il matrimonio, nutrendo grande disprezzo nei confronti della corporeità. Il testo completo è stato rinvenuto nel 1945 a Nag Hammadi, ma alcuni frammenti erano noti fin dall‘antichità.
Il Vangelo di Filippo così parla della Maddalena: “Tre donne camminavano sempre con il Signore: Maria sua madre, Maria la sorella di lei e la Maddalena, la quale è detta sua compagna. Maria, in realtà, è sorella, madre e coniuge di lui” (versetto 32).E ancora al versetto 55: “La Sofia detta sterile è la madre degli angeli; la compagna di Cristo è la Maddalena. Il Signore amava Maria più di tutti i discepoli e la baciò più volte sulla bocca. Le altre donne, vedendo il suo amore per Maria, gli dissero: Perché ami lei più di noi tutte? Il Salvatore rispose loro: Come mai io non amo voi come lei?”
L‘antica Sofia, madre del mondo materiale (negli angeli si devono vedere i corpi celesti: pianeti costellazioni ecc.) è ormai sterile, al suo posto sta la vera Sofia, quella che esce dalla bocca del creatore ed è sposa dell‘anima di Cristo. Questa Sofia viene identificata con la Maddalena, la cui corporeità, come del resto quella di Cristo, è pura apparenza. Dalla corporeità - secondo il Vangelo di Filippo - è necessario, dunque, liberarsi ed entrare in un rapporto con Cristo del tutto spirituale, proprio come quello della Maddalena.
Da una lettura distorta di questo testo, ignara (o volutamente incurante) di certe teorie gnostiche, è nata la leggenda della relazione tra Cristo e la Maddalena che avrebbe generato la vera stirpe cristiana. Tracce del culto gnostico della Maddalena si possono ritrovare nelle basiliche paleocristiane di Cimatile (Otranto).
Se la Legenda Aurea, come altri testi spirituali quali quello del IX secolo di Rabano Mauro, arcivescovo di Magonza, hanno influenzato l'iconografia di Maria di Magdala, la lettura distorta del Vangelo di Filippo (e la sovrapposizione a questo di altri testi leggendari) ha avuto molta fortuna producendo una ricca letteratura, compreso il purtroppo celebre romanzo su un presunto codice da Vinci.
http://www.culturacattolica.it/default.asp?id=243&id_n=9387
LA DINASTIA MEROVINGIA DAL SITO: http://www.renneslechateau.it
11. La dinastia Merovingia
Mentre la Settimania era saldamente in mano ai Visigoti, nel nord della Gallia nasceva una dinastia che, dal XX sec. in avanti, verrà molto spesso - e non sempre a ragione - collegata alle vicende di Rennes-le-Château: quella dei Merovingi.
E' grazie a due testi fondamentali che si possono ricostruire le intricate vicende di questa famiglia: l'Histoire des Francs di Gregorio di Tour (VI sec.) e il Liber Historiæ Francorum (VIII sec.), di autore incerto ma noto come "Cronaca di Frédégaire", dal nome dello stampatore che la pubblicherà nel XVI secolo.
La dinastia aveva avuto origine dai Sicambri, una tribù del popolo germanico dei Franchi che aveva attraversato il Reno all'inizio del V secolo per stabilirsi nel territorio oggi corrispondente alla Francia del Nord, nei pressi delle Ardenne, e il Belgio.
Le notizie sui primi re dei Franchi sono frammentarie: il più antico di cui si abbia notizia è un certo re Chlodion le Chevelu, che avrebbe regnato sui Franchi dal 429 fino alla morte che sopraggiunse nel 447. Chlodion ebbe un figlio che gli succedette: si chiamava Meroveo (Mérovée), e proprio da lui prese il nome la dinastia dei Merovingi.
Intorno alla figura di re Meroveo sono nate molte leggende; la più celebre si trova sul Liber Historiæ Francorum, e racconta l'origine mitologica del sovrano che avrebbe avuto due padri. La madre, infatti, già incinta del marito - il re Chlodion - sarebbe andata a nuotare nell'oceano, dove sarebbe stata sedotta e violentata da un mostro marino descritto come una "bestia di Nettuno simile ad un Quinotauro" (1).
L'essere avrebbe ingravidato per una seconda volta la donna, che quindi partorì un bambino che aveva nelle vene il miscuglio del sangue di un re franco con quello di uno strano essere marino (2).
Meroveo governò i Franchi dal 447 al 457 ed ebbe un figlio, Childéric I (436-481), che gli succedette alla morte.
Ricordato come ultimo re pagano, Childéric fu sepolto a Tournai e la sua tomba verrà scoperta casualmente nel 1653 (3). All'interno del luogo di sepoltura il corpo era identificato dal nome e da un sigillo d'oro, su cui il sovrano era ritratto nelle vesti di un ufficiale romano, con mantello militare e corazza, e i capelli lunghi - simbolo di regalità presso i Franchi. Intorno alla tomba del re erano stati sepolti anche diversi cavalli - secondo un rituale funerario barbaro.
L'aspetto da ufficiale romano con cui venne ritratto Childéric I fa ritenere agli storici che l'ingresso dei Franchi nel nord della Gallia non fu una conquista brutale: al contrario, il sovrano venne accolto come naturale successore dell'ultimo dirigente romano. Il breve epitaffio sulla tomba di un soldato franco scoperta a Budapest condensa bene l'idea della fratellanza tra Franchi e Romani:
Francus ego cives, miles romanus in armis
Sono cittadino franco ma soldato romano (4)
Nel 481 a Childéric I succede il figlio Clodoveo. Il sovrano si allea ai Burgundi sposando una nipote del re Gondebaud, la principessa cattolica Clotilde (475-545). Sotto l'influenza di Clotilde, e probabilmente per guadagnarsi l'appoggio della gerarchia romana in Gallia, Clodoveo si converte al Cristianesimo il giorno di Natale del 496 (5), quando viene battezzato da Saint Remi, vescovo di Reims. Acquisito così anche l'appoggio del vescovado, Clodoveo inizia muovere i primi attacchi ai Visigoti ariani nel sud della Gallia, incontrando tra l'altro il sostegno di molte popolazioni locali cui appare come liberatore dall’eretica dominazione visigota.
L’appoggio del clero a Clodoveo diventa esplicito quando nel 506 il Concilio di Agde si apre con una preghiera che invocava la prosperità del regno franco. La guerra che scoppia l’anno successivo ha una delle battaglie decisive a Vouillé, dove i Franchi prevalgono sui Visigoti di Alarico II, conquistando così Bordeaux e Toulouse. I Visigoti riescono a mantenere soltanto il controllo della Settimania. Carcassonne riuscirà a resistere ad un assedio franco del 508 e a tre spedizioni franco-burgunde dal 585 al 589.
Con la morte di Clodoveo nel novembre 511, il regno viene diviso tra i suoi quattro figli: Thierry (?-534) si insedia a Reims, Clodomir (495-524) a Orléans, Childebert (495-558) a Parigi e Clotaire (497-561) a Soissons.
Alla morte di Clodomir i tre fratelli superstiti fanno uccidere i suoi figli; l'unico a restare in vita è Cloud, che viene sottoposto alla tonsura monacale. Data la simbologia "regale" della lunga capigliatura, il gesto di tagliare i capelli ad un membro della famiglia equivaleva ad escluderlo dal trono. Cloud fonderà l'omonimo monastero nella regione di Parigi e dopo la morte verrà proclamato santo.
I figli di Clodoveo proseguono la politica d'espansione del padre, conquistando il regno burgundo (nel 534) e la Provenza (nel 537). Dopo la morte di Thierry e Childebert, nel 558 Clotario ristabilisce il Regnum Francorum nel 558, ma l'unità è destinata a durare solo tre anni: nel 561, alla sua morte, il regno viene nuovamente diviso tra i quattro figli. Caribert (521-567) diventa re di Parigi, Gontrand (545-593) re di Borgogna, Sigeberto I (525-575) re d'Austrasia e Chilpéric I (561-584) re di Soissons. La frammentazione del potere solleva rivalità e gravi conflitti familiari.
L'unità viene ristabilità con la presa di potere di Clotario II (584-629) figlio di Chilpéric I, e viene mantenuta da Dagoberto I (603-639), figlio di Clotario. E' Dagoberto a fare della basilica di Saint Denis la necropoli dei re di Francia. Durante il governo di Dagoberto acquista sempre maggior potere politico la famiglia dei Pepinidi, discendenti dell'aristocratico Pépin de Landen (580-640). Antenati di Carlo Magno, i Pepinidi diventeranno in breve la più importante famiglia dell'Austrasia.
Nel 639, alla morte di Dagoberto I, il regno viene di nuovo frammentato: a Sigeberto III (631-656) viene affidata l'Austrasia, a Clodoveo II (635-657) la Borgogna e la Neustria.
Ciò che seguì alla nascita di Dagoberto II, figlio di Sigeberto III, è di fondamentale importanza: se su ciò che è stato riportato fino a questo punto c'è un'ampia concordanza tra gli storici, da qui in avanti la ricostruzione della vita di Dagoberto II diventa un'impresa molto scivolosa, cui bisogna dedicare una particolare attenzione: la consultazione delle fonti primarie è fondamentale, data l'importanza che questo personaggio assumerà nel XX secolo all'interno della mitologia di Rennes-le-Château.
Note
(1) Cronaca di Frédégaire cit. in François Vallet, Les Mérovingiens de Clovis à Dagobert, Gallimard, 1995, p.148
(2) Nel nome di Meroveo si riconosce il prefisso "Mer" che in francese suona come "madre" ma anche come "mare"
(3) François Vallet, Les Mérovingiens de Clovis à Dagobert, Gallimard, 1995, p.33
(4) Cit. in François Vallet, Les Mérovingiens de Clovis à Dagobert, Gallimard, 1995, p.138
(5) In François Vallet, Les Mérovingiens de Clovis à Dagobert, Gallimard, 1995, p.35 vengono invece proposte le due date del 495 e del 498.
» 12. Vita di Dagoberto II
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Vita di Dagoberto II
In seguito alla morte di Dagoberto I e alla frammentazione del regno tra l'Austrasia da un lato e Borgogna/Neustria dall'altro, la tensione tra le due regioni è destinata a crescere.
In Austrasia il controllo del potere da parte dei Pepinidi è tale che uno di loro, il maestro di palazzo Grimoaldo, nel 651 fa adottare a Sigeberto III suo figlio Childeberto - che viene quindi soprannominato "l'adottato"; ciò nella speranza che sarà la famiglia dei Pepinidi a succedere a Sigeberto (1).
François de Belleforest 1573
Vedi: François de Belleforest 1573
E' il reverendo Daniel a rivelare le intenzioni di Grimoaldo, frustrate presto dalla nascita di un erede a Sigeberto: "I grandi progetti del maestro furono vanificati dal momento che il re ebbe un figlio cui diede il nome del suo antenato Dagoberto" (2).
Pére G. Daniel 1722
Vedi: Pére G. Daniel 1722
Il Liber Historiæ Francorum lo ricorda con le parole "filium eius parvolum nomine Daygobertum" (3).
Poco prima di morire (4), Sigeberto affida a Grimoaldo il figlio Dagoberto.
François de Belleforest 1573
Vedi: François de Belleforest 1573
Secondo il reverendo Daniel, "questo bambino non aveva che sette o otto anni quando il padre morì" (5). Approfittando della giovane età di Dagoberto, Grimoaldo provvede alla sua tonsura. Nel Liber Historiæ Francorum si legge: "Grimoaldus Daygobertum totundit" (6).
Liber Historiæ Francorum, cap.43.
Vedi: Liber Historiæ Francorum, cap.43.
François de Belleforest lo conferma: "Grimoaldo fa eseguire una tonsura dal vescovo di Poitiers Dodon".
François de Belleforest 1573
Vedi: François de Belleforest 1573
Secondo François Eudes de Mézeray "Verso l'anno 653 Grimoaldo [...] fa eseguire la tonsura dal vescovo di Poitiers Didon" (7).
François Eudes de Mézeray 1687
Vedi: François Eudes de Mézeray 1687
Il piccolo Dagoberto viene dunque esiliato: secondo il Liber Historiæ Francorum "in Scocia", accompagnato dal vescovo di Poitiers, Didone Pectavense; anche de Belleforest parla di "Escosse", Jean du Tillet (1618) di "Ecosses" (8).
Jean du Tillet 1618
Vedi: Jean du Tillet 1618
De Mézeray parla piuttosto di Irlanda e di un monastero appartato; il reverendo Daniel mette d'accordo un po' tutti, scrivendo che "Didone vescovo di Poitiers [...] lo condusse in Ecosse" e in una nota a piè pagina specifica: "So bene che l'Hibernia [Irlanda], che veniva anche chiamata Isola degli Scozzesi, è stata in qualche occasione chiamata Scotia; ma a quanto racconta la Vita di San Vuilfrid, Dagoberto non raggiunse l'Hibernia se non dopo essere stato in Ecosse" (9).
Secondo François Eudes de Mézeray, "è probabile che [Grimoaldo] abbia diffuso la voce che il piccolo fosse morto" (10). Padre Daniel aggiunge che Grimoaldo "ne celebrò pubblicamente i funerali" (11). A seguito di ciò, Imnechilde, moglie di Sigeberto III e madre di Dagoberto, si rifugia quindi dal cognato Clodoveo II in Neustria (12).
François Eudes de Mézeray 1685
Vedi: François Eudes de Mézeray 1685
Ma che ne è del piccolo Dagoberto? Padre Daniel ritrova nella Vita Wilfridi alcuni accenni al giovane figlio di Sigeberto III e li riporta così: "Lasciato in Scozia o in Irlanda ad un'età ancora tenera dal vescovo di Poitiers, che l'aveva accompagnato, vaga a lungo senza ricevere alcun aiuto, esposto a mille pericoli e in uno stato di grande miseria. Vi dimora per diversi anni senza osare di tornare in Francia, dove sapeva bene che non sarebbe stato al sicuro, e forse nasconde a tutti la sua identità col timore che qualcuno in Francia possa sapere di lui e mandare qualcuno ad assassinarlo. Mentre si trova in questa condizione, incontra un inglese di valore, Wilfrid, col quale fa conoscenza e a cui confida la propria miseria. L'inglese viene mosso a compassione, lo trattiene presso di sé e lo porta in Inghilterra" (13).
Pére G. Daniel 1722
Vedi: Pére G. Daniel 1722
San Wilfrid (~634-709), vescovo di York dal 664 al 678, è un personaggio chiave nella ricostruzione della vita di Dagoberto: è nella sua biografia scritta dal suo contemporaneo Eddius Stephanus, la Vita Wilfridi, che si racconta l'esilio di Dagoberto II (14).
Eddius Stephanus ~700
Vedi: Eddius Stephanus ~700
Intanto in Austrasia il governo di un Pepinide, Grimoaldo, incontra presto l'opposizione dei notabili del regno, che vogliono ripristinare la linea di sangue merovingia; è Clodoveo II ad intervenire dalla Neustria: secondo François de Belleforest, Grimoaldo e il figlio vengono catturati e fatti prigionieri a Parigi.
François de Belleforest 1573
Vedi: François de Belleforest 1573
Mézeray avanza anche l'ipotesi che i due siano stati uccisi (15); è della stessa opinione Jean du Tillet, secondo cui Grimoaldo viene imprigionato e condannato a morte per tradimento e lesa maestà e suo figlio Childeberto "l'adottato" ucciso in battaglia (16).
Jean du Tillet 1618
Vedi: Jean du Tillet 1618
Il regno di Clodoveo II sull'Austrasia dura poco: alla sua morte viene suddiviso tra due dei suoi tre figli: Clotario III e Childerico II. Clotario III ha soltanto cinque anni quando diventa il reggente della Neustria; fa le sue veci il maestro di palazzo Ebroin. Alla morte di Clotario III, è il terzo fratello Tierri III a succedergli. In Austrasia è Childerico II a diventare re, ma anch'egli non ha che 3 o 4 anni.
In Neustria si procede alla tonsura di Tierri III, che viene mandato nel monastero di Saint Denis, e Austrasia e Neustria si riuniscono nelle mani di Childerico II. Alla morte di costui, la situazione politica è molto confusa: per riportare al trono un sovrano di stirpe merovingia, Tierri III viene richiamato da Saint Denis e rimesso sul trono.
A proposito della morte di Childerico II, François Eudes de Mézeray riporta un fatto curioso: qualche anno prima del 1685 presso la chiesa di Saint Germain des Pres vennero ritrovate due sepolcri di pietra, l'uno accanto all'altro; contenevano i corpi di un uomo, una donna e un bambino. L'iscrizione "Childeric" e alcuni ornamenti reali fecero ipotizzare che si trattasse delle tombe di Chiderico II, di sua moglie e del figlio (17).
François Eudes de Mézeray 1685
Vedi: François Eudes de Mézeray 1685
Continua de Mézeray: "persuasi dalla regina Imnechilde, vedova di re Sigeberto II (sic) [...] gli abitanti dell'Austrasia si ricordarono di quel Dagoberto che Grimoaldo aveva sottoposto a tonsura e relegato in Irlanda, e lo riconobbero re d'Austrasia, dove regnò per diversi anni" (18).
François Eudes de Mézeray 1685
Vedi: François Eudes de Mézeray 1685
Accompagnato da Wilfrid (19) Dagoberto torna dunque in Francia e diventa legittimo re d'Austrasia: ad attestarlo c'è un cartulario ufficiale datato 1° agosto 677 in cui viene nominato "Dagoberctus rex Francorum" (20).
Karolus Augustus Fridericus Pertz 1872
Vedi: Karolus Augustus Fridericus Pertz 1872
Spiega de Mézeray che la figura di Dagoberto fu dimenticata per molti secoli e spesso confusa con quella dell'omonimo re Dagoberto I vissuto un secolo prima: "Questo principe restò sconosciuto per quasi mille anni, e le sue gesta vennero completamente ignorate o confuse con quelle di Dagoberto I. La storia avrebbe continuato a credere che fosse morto in un monastero irlandese, se i critici moderni - primo tra tutti Adrian de Valois - non l'avesse riportato alla luce dall'oscurità dei secoli tenebrosi e non avesse prodotto prove indiscutibili della sua esistenza" (21). Fa riferimento a de Valois anche padre Daniel, che scrive: "Dobbiamo a [Godefroy] Henschenius la rinascita della sua figura quando [...] ha riportato alla luce questo importante momento della nostra storia antica", aggiungendo in nota: "E' il signor Valois a rivendicare questa scoperta" (22).
In effetti in un libro dedicato ai tre diversi Dagoberto (23) Godefroy Henschenius (1600-1681) nel 1655 aveva per la prima volta distinto la figura del figlio di Sigeberto III da quelle degli altri due Dagoberto - l'uno suo antenato (Dagoberto I), l'altro pronipote (Dagoberto III).
Scrive ancora de Mézeray: "Il giovane Dagoberto regnò in un clima di pace e trascorse la vita nell'esercizio della pietà, raccogliendo reliquie, decorando le chiese e riconfermando le donazioni padre ai monasteri che aveva edificato suo padre" (24).
I vari autori ci hanno lasciato resoconti discordanti circa la morte del re. De Mézeray è dubitativo sin dal titolo del paragrafo in cui ne parla: "Si suppone che sia stato ucciso in una battaglia":
Ho letto in un autore di quei tempi che scoppiò una battaglia tra i re Thierry e Dagoberto nei pressi di Langres: da ciò qualcuno ha ipotizzato che Dagoberto vi perse la vita, dal momento che non si trova più nessuna notizia di lui da quell'anno in avanti, e si dice che il suo corpo venne portato a Rouen grazie alle cure caritatevoli di San Ouin e inumato nella chiesa di Saint Pierre, come riporta l'autore della biografia di questo arcivescovo (25).
François Eudes de Mézeray 1685
Vedi: François Eudes de Mézeray 1685
Nel suo testo del 1687 de Mézeray racconterà la vicenda con toni simili, anche se ulteriormente dubitativi: "Dagoberto, caduto nelle mani dei suoi nemici, o per aver perso una battaglia, o per qualche altro incidente, venne ucciso. Il suo corpo venne portato a Rouen dove l'arcivescovo Ouin l'inumò nella chiesa di Saint Pierre. So bene che ci sono autori secondo cui visse ancora molto anni e che gli attribuiscono un figlio o più figli, ma ciò si basa a mio avviso su prove molto dubbie. Si ha notizia di un Dagoberto inumato a Stenai, in una chiesa innalzata a suo nome, dov'è onorato come martire. La sua leggenda vuole trattarsi di un re che venne assassinato in una foresta a due leghe di distanza da lì da suo figlioccio" (26).
François Eudes de Mézeray 1687
Vedi: François Eudes de Mézeray 1687
De Mézeray riporta l'esistenza di una chiesa dedicata a San Dagoberto a Stenay; l'autore è scettico sul fatto che si tratti dello stesso Dagoberto che ha governato sull'Austrasia: "Non può trattarsi dello stesso re di cui abbiamo parlato: esiste tuttavia qualche elemento che fa pensare si tratti di un membro della famiglia reale, ma si ignora di chi si tratti. Forse in futuro si scoprirà chi è" (27). Lo stesso dubbio è espresso da Alexandre Huguenin, che scrive: "Uno dei principali argomenti prodotti [contro l'ipotesi che sia lo stesso Dagoberto] è il fatto che Goffredo di Buglione, nel concedere il privilegio del priorato di San Dagoberto di Stenay ai religiosi di Gorze, non attribuisce mai al patrono della chiesa il titolo di Re" (28).
Secondo padre Daniel, Dagoberto venne ucciso "durante una caccia nella foresta di La Voivre" (29). Il Martyrologium Adonis è ancora più preciso, fissando l'omicidio al decimo giorno delle calende di gennaio, che Alexandre Huguenin fa corrispondere al 23 gennaio (30). Huguenin riporta anche un manoscritto anonimo scritto presso l'abbazia di Gorze in cui si racconta che Dagoberto morì sotto una quercia nei pressi di una fontana chiamata Aphays, ucciso da un figlioccio chiamato Grimoald (31).
In definitiva, non esistono fonti precise che ci consentano di capire dove e come morì Dagoberto II. La questione più importante e delicata, però, riguarda la discendenza di Dagoberto: ebbe dei figli? E in caso positivo, che fine fecero?
Note
(1) François de Belleforest, Les Chroniques et Annales de France dez l'origine des Francoys et leur venues es Gaules, Parigi: 1573 (parzialmente riprodotto in Les Cahiers de Rennes-le-Château 3, pp.7 e segg.)
(2) Pere G. Daniel, Histoire de France depuis l'établissement de la monarchie françoise dans les Gaules, Parigi: 1722 (parzialmente riprodotto in Les Cahiers de Rennes-le-Château 5/6, pp.47 e segg.)
(3) Liber Historiæ Francorum cap. 43 cit. in Monumenta Germania Historica - Scriptorum Rerum Merovingicarum, Hannover: 1888, t.II, p.316. Il Liber riporta anche il nome di una figlia di Sigeberto III, chiamata Bilichilde (in t.V, nota 2, p.290).
(4) Secondo Mézeray la morte sarebbe avvenuta il 1° febbraio 650 o lo stesso giorno del 654 in François Eudes de Mézeray, Abrégé chronologique de l'histoire de France, Lione: 1687 (parzialmente riprodotto in Les Cahiers de Rennes-le-Château 3, pp.17 e segg. e Les Cahiers de Rennes-le-Château 5/6, pp.32 e segg.).)
(5) Pere G. Daniel, Histoire de France depuis l'établissement de la monarchie françoise dans les Gaules, Parigi: 1722 (parzialmente riprodotto in Les Cahiers de Rennes-le-Château 5/6, pp.47 e segg.)
(6) Liber Historiæ Francorum cap. 43 cit. in Monumenta Germania Historica - Scriptorum Rerum Merovingicarum, Hannover: 1888, t.II, p.316.
(7) Si noti la discrepanza tra le due date: nel testo viene riportato l'anno 653, all'esterno del paragrafo l'anno 663. La data del 653 è verosimile soltanto se si accetta l'ipotesi precedentemente avanzata dallo stesso de Mézeray, secondo cui Sigeberto III sarebbe morto nel 650.
(8) Jean du Tillet, Recueil des rois de France, leurs couronne et maisons. Ensemble, le rang des grands de France, Parigi: Mettayer, 1618 (disponibile su Gallica), p.31
(9) Pere G. Daniel, Histoire de France depuis l'établissement de la monarchie françoise dans les Gaules, Parigi: 1722 (parzialmente riprodotto in Les Cahiers de Rennes-le-Château 5/6, pp.47 e segg.)
(10) François Eudes de Mézeray, Histoire de France, Parigi: 1685, p.245
(11) Pere G. Daniel, Histoire de France depuis l'établissement de la monarchie françoise dans les Gaules, Parigi: 1722 (parzialmente riprodotto in Les Cahiers de Rennes-le-Château 5/6, pp.47 e segg.)
(12) François Eudes de Mézeray, Histoire de France, Parigi: 1685, p.245 e François Eudes de Mézeray, Abrégé chronologique de l'histoire de France, Lione: 1687 (parzialmente riprodotto in Les Cahiers de Rennes-le-Château 3, pp.17 e segg. e Les Cahiers de Rennes-le-Château 5/6, pp.32 e segg.)
(13) Pere G. Daniel, Histoire de France depuis l'établissement de la monarchie françoise dans les Gaules, Parigi: 1722 (parzialmente riprodotto in Les Cahiers de Rennes-le-Château 5/6, pp.47 e segg.)
(14) Eddius Stephanus, Vita Wilfridi I episcopi eboracensis, ~700 cit. in Wilhelm Levison, Monumenta Germania Historica - Scriptorum Rerum Merovingicarum, vol.6, Hannover: 1913 (disponibile su Monumenta Germaniae Historica), p.170
(15) François Eudes de Mézeray, Histoire de France, Parigi: 1685, p.245
(16) Jean du Tillet, Recueil des rois de France, leurs couronne et maisons. Ensemble, le rang des grands de France, Parigi: Mettayer, 1618 (disponibile su Gallica), p.31
(17) François Eudes de Mézeray, Histoire de France, Parigi: 1685, p.260
(18) François Eudes de Mézeray, Histoire de France, Parigi: 1685, p.261
(19) Pere G. Daniel, Histoire de France depuis l'établissement de la monarchie françoise dans les Gaules, Parigi: 1722 (parzialmente riprodotto in Les Cahiers de Rennes-le-Château 5/6, pp.47 e segg.)
(20) Cit. in Karolus Augustus Fridericus Pertz, Diplomata regum Francorum e stirpe Merovingica, Hannover: 1872 (disponibile su Monumenta Germaniae Historica), t.I, cartulario 45, p.42.
(21) François Eudes de Mézeray, Histoire de France, Parigi: 1685, p.261
(22) Pere G. Daniel, Histoire de France depuis l'établissement de la monarchie françoise dans les Gaules, Parigi: 1722 (parzialmente riprodotto in Les Cahiers de Rennes-le-Château 5/6, pp.47 e segg.)
(23) Godefroy Henschenius, De tribus Dagobertis francorum regibus diatriba, Anversa: 1655
(24) François Eudes de Mézeray, Abrégé chronologique de l'histoire de France, Lione: 1687 (parzialmente riprodotto in Les Cahiers de Rennes-le-Château 3, pp.17 e segg. e Les Cahiers de Rennes-le-Château 5/6, pp.32 e segg.), p.261
(25) François Eudes de Mézeray, Histoire de France, Parigi: 1685
(26) François Eudes de Mézeray, Abrégé chronologique de l'histoire de France, Lione: 1687 (parzialmente riprodotto in Les Cahiers de Rennes-le-Château 3, pp.17 e segg. e Les Cahiers de Rennes-le-Château 5/6, pp.32 e segg.).
(27) François Eudes de Mézeray, Abrégé chronologique de l'histoire de France, Lione: 1687 (parzialmente riprodotto in Les Cahiers de Rennes-le-Château 3, pp.17 e segg. e Les Cahiers de Rennes-le-Château 5/6, pp.32 e segg.)
(28) Alexandre Huguenin, Histoire du Royaume Mérovingien d'Austrasie, Parigi: 1862 (disponibile su Google Books), p.457
(29) Pere G. Daniel, Histoire de France depuis l'établissement de la monarchie françoise dans les Gaules, Parigi: 1722 (parzialmente riprodotto in Les Cahiers de Rennes-le-Château 5/6, pp.47 e segg.)
(30) D. Georgius, Martyrologium Adonis, Roma: 1745, t.I, Martii, p.19 cit. in Alexandre Huguenin, Histoire du Royaume Mérovingien d'Austrasie, Parigi: 1862 (disponibile su Google Books), p.449.
(31) Nouvelle histoire de Metz, manoscritto della biblioteca di Metz, t.I, p.57 cit. in Alexandre Huguenin, Histoire du Royaume Mérovingien d'Austrasie, Parigi: 1862 (disponibile su Google Books), p.451.
» 13. Ci fu un Sigeberto IV?
Ci fu un Sigeberto IV?
Secondo una leggenda relativa a Sant'Arbogasto (?-678), vescovo di Strasburgo, Dagoberto avrebbe sposato una duchessa "sassone" chiamata Mathildis, e da lei ebbe un figlio che chiamò Sigeberto. Tale leggenda venne registrata per la prima volta nella Vita Arbogasti, scritta nel X secolo (1). Secondo il genealogista Christian Settipani la Vita Arbogasti è una fonte dubbia perché farebbe riferimento piuttosto a Dagoberto I, che in effetti ebbe un figlio chiamato Sigeberto (il Sigeberto III padre di Dagoberto II) e una moglie dal nome simile: Nanthildis (2). In effetti, all'epoca in cui la leggenda viene registrata per la prima volta c'è grande confusione tra i tre diversi Dagoberto, e solo a metà del XVII secolo Godefroy Henschenius provvederà a chiarire le distinzioni.
Ulteriore confusione è dovuta - per lo stesso motivo - ad un testo scritto all'inizio dell'VIII secolo: la Vita Amandi Episcopi I (3), dove si racconta la vita di Sant'Amando (~584–675). Tra gli episodi citati, uno vede come protagonisti Dagoberto e la moglie nel gesto di battezzare il figlio Sigeberto. Sebbene alcuni abbiano pensato che si trattasse di un riferimento al figlio di Dagoberto II, ciò è scorretto: l'anonimo autore si riferisce infatti a Dagoberto I e a suo figlio Sigeberto III.
La debolezza dell'ipotesi che Dagoberto abbia avuto un figlio ha un'eco sugli autori che riprenderanno la leggenda di San Arbogasto e la Vita Amandi. Nel 1685 de Mézeray si esprime in modo molto dubbioso sull'esistenza di un figlio, scrivendo esplicitamente:
In quei giorni morì Dagoberto, re d'una parte d'Austrasia. So bene che ci sono autori secondo cui visse ancora molto anni e che gli attribuiscono un figlio o più figli, ma ciò si basa a mio avviso su prove molto dubbie; e se ebbe un figlio, non si può dire che sopravvisse a suo padre, a meno che non si voglia concedere il beneficio del dubbio a qualche genealogista moderno che ne ha bisogno per far quadrare i suoi conti (4).
François Eudes de Mézeray 1685
Vedi: François Eudes de Mézeray 1685
Nel 1702 Vincent de Nancy riporta il nome della principessa anglosassone "Mechtilde", da cui Dagoberto avrebbe avuto un figlio chiamato "Sigebert" (5):
R.P. Vincent de Nancy 1702
Vedi: R.P. Vincent de Nancy 1702
Vent'anni più tardi, nel 1722, il reverendo Daniel è notevolmente più cauto nell'attribuire a Dagoberto un figlio:
Qualche antico documento attribuisce a questo Dagoberto un figlio chiamato Sigeberto, che si suppone sia stato ucciso con lui, e quindi il trono d'Austrasia rimane vacante (6).
Pére G. Daniel 1722
Vedi: Pére G. Daniel 1722
Un dato è certo: nonostante il trono sia vacante, nessuno dei figli di Dagoberto viene considerato tra i possibili eredi. Lo conferma Vincent de Nancy, che scrive:
Quanto al principe Sigeberto, figlio di Dagoberto, apparentemente morì nello stesso momento del padre, o poco dopo; infatti l'autore che ha proseguito la cronaca di Fredegario ha scritto che i Re, vale a dire Dagoberto e suo figlio Sigeberto, sono morti in Austrasia, Defunctis Regibus (7).
R.P. Vincent de Nancy 1702
Vedi: R.P. Vincent de Nancy 1702
Per inciso, Alexandre Huguenin attribuisce a Dagoberto II tre figlie femmine: Adéla, Irmina e Régentrude (8).
Alexandre Huguenin 1862
Vedi: Alexandre Huguenin 1862
In conclusione, l'esistenza di Sigeberto è dubbia, fondandosi su fonti primarie da analizzare con cautela e che potrebbero riferirsi ad un omonimo. Si può affermare invece con certezza che nessun cronista noto l'ha mai identificato con il numero ordinale IV, né esistono resoconti della sua vita che possano far pensare ad una sua eventuale fuga verso l'antica Rennes-le-Château - come invece verrà affermato, senza produrre alcuna evidenza, nel corso del XX secolo.
Altresì non ci sono documenti che attestino il fatto che Dagoberto avrebbe avuto il presunto figlio in seconde nozze da una principessa chiamata Gisele du Razès; la donna, che verrà chiamata in causa nel corso del Novecento da Pierre Plantard, se mai esistita non ha lasciato alcuna traccia di sé - e viene da chiedersi, dunque, in che modo i genealogisti citati dal francese possano aver raccolto la notizia della sua esistenza, del suo matrimonio e della sua discendenza.
La Storia si limita a constatare l'assenza di eredi nella linea di Dagoberto II; il potere passa, quindi, nelle mani di un Pepinide estraneo alla dinastia merovingia: Pépin d'Héristal (~640-714), nipote di Pépin de Landen.
Gli ultimi re merovingi, ormai chiamati "fannulloni", saranno sempre fedeli ai Pepinidi e in pochi anni perderanno tutto il loro potere. A Pépin d'Héristal succede il figlio Carlo Martello (685-741) e a costui il figlio Pipino il Breve (715-768).
L'ultimo dei re Merovingi è Childéric III (714-753): alleatosi con il Papa, Pipino il Breve procede alla tonsura di Childéric, privandolo così di ogni potere e rinchiudendolo nel monastero di Saint Bertin a Saint Omer. Pipino si impadronisce del titolo di re dei Franchi nel 751, diventando così il primo re della dinastia Pepinide, che dal suo discendente Carlo Magno prenderà il nome di dinastia Carolingia.
Note
(1) Riprodotta in Patrologia Latina, t.134, Migne: 1853.
(2) Christian Settipani, La préhistoire des Capétiens, 1993, p.109
(3) La Vita Amandi Episcopi è riprodotta nei Monumenta Germania Historica - Scriptorum Rerum Merovingicarum, vol.5, Hannover: 1910 (è disponibile nei Monumenta Germaniae Historica)
(4) François Eudes de Mézeray, Histoire de France, Parigi: 1685, p.268
(5) R.P. Vincent de Nancy, Histoire fidelle de Saint Sigisbert XII roy d'Austrasie et III du nom avec un abregé de la vie du roy Dagobert son fils, Nancy: 1702 (ora in allegato a Louis Vazart, Dagobert II et le mystere de la cité royale de Stenay, Parigi: 1983), "La Vie de Saint Dagobert", p.13
(6) Pere G. Daniel, Histoire de France depuis l'établissement de la monarchie françoise dans les Gaules, Parigi: 1722 (parzialmente riprodotto in Les Cahiers de Rennes-le-Château 5/6, pp.47 e segg.)
(7) R.P. Vincent de Nancy, Histoire fidelle de Saint Sigisbert XII roy d'Austrasie et III du nom avec un abregé de la vie du roy Dagobert son fils, Nancy: 1702 (ora in allegato a Louis Vazart, Dagobert II et le mystere de la cité royale de Stenay, Parigi: 1983), p.44
(8) Alexandre Huguenin, Histoire du Royaume Mérovingien d'Austrasie, Parigi: 1862 (disponibile su Google Books), p.453
http://www.renneslechateau.it/rennes-le-chateau.php?sezione=guida&cap=13
Mentre la Settimania era saldamente in mano ai Visigoti, nel nord della Gallia nasceva una dinastia che, dal XX sec. in avanti, verrà molto spesso - e non sempre a ragione - collegata alle vicende di Rennes-le-Château: quella dei Merovingi.
E' grazie a due testi fondamentali che si possono ricostruire le intricate vicende di questa famiglia: l'Histoire des Francs di Gregorio di Tour (VI sec.) e il Liber Historiæ Francorum (VIII sec.), di autore incerto ma noto come "Cronaca di Frédégaire", dal nome dello stampatore che la pubblicherà nel XVI secolo.
La dinastia aveva avuto origine dai Sicambri, una tribù del popolo germanico dei Franchi che aveva attraversato il Reno all'inizio del V secolo per stabilirsi nel territorio oggi corrispondente alla Francia del Nord, nei pressi delle Ardenne, e il Belgio.
Le notizie sui primi re dei Franchi sono frammentarie: il più antico di cui si abbia notizia è un certo re Chlodion le Chevelu, che avrebbe regnato sui Franchi dal 429 fino alla morte che sopraggiunse nel 447. Chlodion ebbe un figlio che gli succedette: si chiamava Meroveo (Mérovée), e proprio da lui prese il nome la dinastia dei Merovingi.
Intorno alla figura di re Meroveo sono nate molte leggende; la più celebre si trova sul Liber Historiæ Francorum, e racconta l'origine mitologica del sovrano che avrebbe avuto due padri. La madre, infatti, già incinta del marito - il re Chlodion - sarebbe andata a nuotare nell'oceano, dove sarebbe stata sedotta e violentata da un mostro marino descritto come una "bestia di Nettuno simile ad un Quinotauro" (1).
L'essere avrebbe ingravidato per una seconda volta la donna, che quindi partorì un bambino che aveva nelle vene il miscuglio del sangue di un re franco con quello di uno strano essere marino (2).
Meroveo governò i Franchi dal 447 al 457 ed ebbe un figlio, Childéric I (436-481), che gli succedette alla morte.
Ricordato come ultimo re pagano, Childéric fu sepolto a Tournai e la sua tomba verrà scoperta casualmente nel 1653 (3). All'interno del luogo di sepoltura il corpo era identificato dal nome e da un sigillo d'oro, su cui il sovrano era ritratto nelle vesti di un ufficiale romano, con mantello militare e corazza, e i capelli lunghi - simbolo di regalità presso i Franchi. Intorno alla tomba del re erano stati sepolti anche diversi cavalli - secondo un rituale funerario barbaro.
L'aspetto da ufficiale romano con cui venne ritratto Childéric I fa ritenere agli storici che l'ingresso dei Franchi nel nord della Gallia non fu una conquista brutale: al contrario, il sovrano venne accolto come naturale successore dell'ultimo dirigente romano. Il breve epitaffio sulla tomba di un soldato franco scoperta a Budapest condensa bene l'idea della fratellanza tra Franchi e Romani:
Francus ego cives, miles romanus in armis
Sono cittadino franco ma soldato romano (4)
Nel 481 a Childéric I succede il figlio Clodoveo. Il sovrano si allea ai Burgundi sposando una nipote del re Gondebaud, la principessa cattolica Clotilde (475-545). Sotto l'influenza di Clotilde, e probabilmente per guadagnarsi l'appoggio della gerarchia romana in Gallia, Clodoveo si converte al Cristianesimo il giorno di Natale del 496 (5), quando viene battezzato da Saint Remi, vescovo di Reims. Acquisito così anche l'appoggio del vescovado, Clodoveo inizia muovere i primi attacchi ai Visigoti ariani nel sud della Gallia, incontrando tra l'altro il sostegno di molte popolazioni locali cui appare come liberatore dall’eretica dominazione visigota.
L’appoggio del clero a Clodoveo diventa esplicito quando nel 506 il Concilio di Agde si apre con una preghiera che invocava la prosperità del regno franco. La guerra che scoppia l’anno successivo ha una delle battaglie decisive a Vouillé, dove i Franchi prevalgono sui Visigoti di Alarico II, conquistando così Bordeaux e Toulouse. I Visigoti riescono a mantenere soltanto il controllo della Settimania. Carcassonne riuscirà a resistere ad un assedio franco del 508 e a tre spedizioni franco-burgunde dal 585 al 589.
Con la morte di Clodoveo nel novembre 511, il regno viene diviso tra i suoi quattro figli: Thierry (?-534) si insedia a Reims, Clodomir (495-524) a Orléans, Childebert (495-558) a Parigi e Clotaire (497-561) a Soissons.
Alla morte di Clodomir i tre fratelli superstiti fanno uccidere i suoi figli; l'unico a restare in vita è Cloud, che viene sottoposto alla tonsura monacale. Data la simbologia "regale" della lunga capigliatura, il gesto di tagliare i capelli ad un membro della famiglia equivaleva ad escluderlo dal trono. Cloud fonderà l'omonimo monastero nella regione di Parigi e dopo la morte verrà proclamato santo.
I figli di Clodoveo proseguono la politica d'espansione del padre, conquistando il regno burgundo (nel 534) e la Provenza (nel 537). Dopo la morte di Thierry e Childebert, nel 558 Clotario ristabilisce il Regnum Francorum nel 558, ma l'unità è destinata a durare solo tre anni: nel 561, alla sua morte, il regno viene nuovamente diviso tra i quattro figli. Caribert (521-567) diventa re di Parigi, Gontrand (545-593) re di Borgogna, Sigeberto I (525-575) re d'Austrasia e Chilpéric I (561-584) re di Soissons. La frammentazione del potere solleva rivalità e gravi conflitti familiari.
L'unità viene ristabilità con la presa di potere di Clotario II (584-629) figlio di Chilpéric I, e viene mantenuta da Dagoberto I (603-639), figlio di Clotario. E' Dagoberto a fare della basilica di Saint Denis la necropoli dei re di Francia. Durante il governo di Dagoberto acquista sempre maggior potere politico la famiglia dei Pepinidi, discendenti dell'aristocratico Pépin de Landen (580-640). Antenati di Carlo Magno, i Pepinidi diventeranno in breve la più importante famiglia dell'Austrasia.
Nel 639, alla morte di Dagoberto I, il regno viene di nuovo frammentato: a Sigeberto III (631-656) viene affidata l'Austrasia, a Clodoveo II (635-657) la Borgogna e la Neustria.
Ciò che seguì alla nascita di Dagoberto II, figlio di Sigeberto III, è di fondamentale importanza: se su ciò che è stato riportato fino a questo punto c'è un'ampia concordanza tra gli storici, da qui in avanti la ricostruzione della vita di Dagoberto II diventa un'impresa molto scivolosa, cui bisogna dedicare una particolare attenzione: la consultazione delle fonti primarie è fondamentale, data l'importanza che questo personaggio assumerà nel XX secolo all'interno della mitologia di Rennes-le-Château.
Note
(1) Cronaca di Frédégaire cit. in François Vallet, Les Mérovingiens de Clovis à Dagobert, Gallimard, 1995, p.148
(2) Nel nome di Meroveo si riconosce il prefisso "Mer" che in francese suona come "madre" ma anche come "mare"
(3) François Vallet, Les Mérovingiens de Clovis à Dagobert, Gallimard, 1995, p.33
(4) Cit. in François Vallet, Les Mérovingiens de Clovis à Dagobert, Gallimard, 1995, p.138
(5) In François Vallet, Les Mérovingiens de Clovis à Dagobert, Gallimard, 1995, p.35 vengono invece proposte le due date del 495 e del 498.
» 12. Vita di Dagoberto II
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Vita di Dagoberto II
In seguito alla morte di Dagoberto I e alla frammentazione del regno tra l'Austrasia da un lato e Borgogna/Neustria dall'altro, la tensione tra le due regioni è destinata a crescere.
In Austrasia il controllo del potere da parte dei Pepinidi è tale che uno di loro, il maestro di palazzo Grimoaldo, nel 651 fa adottare a Sigeberto III suo figlio Childeberto - che viene quindi soprannominato "l'adottato"; ciò nella speranza che sarà la famiglia dei Pepinidi a succedere a Sigeberto (1).
François de Belleforest 1573
Vedi: François de Belleforest 1573
E' il reverendo Daniel a rivelare le intenzioni di Grimoaldo, frustrate presto dalla nascita di un erede a Sigeberto: "I grandi progetti del maestro furono vanificati dal momento che il re ebbe un figlio cui diede il nome del suo antenato Dagoberto" (2).
Pére G. Daniel 1722
Vedi: Pére G. Daniel 1722
Il Liber Historiæ Francorum lo ricorda con le parole "filium eius parvolum nomine Daygobertum" (3).
Poco prima di morire (4), Sigeberto affida a Grimoaldo il figlio Dagoberto.
François de Belleforest 1573
Vedi: François de Belleforest 1573
Secondo il reverendo Daniel, "questo bambino non aveva che sette o otto anni quando il padre morì" (5). Approfittando della giovane età di Dagoberto, Grimoaldo provvede alla sua tonsura. Nel Liber Historiæ Francorum si legge: "Grimoaldus Daygobertum totundit" (6).
Liber Historiæ Francorum, cap.43.
Vedi: Liber Historiæ Francorum, cap.43.
François de Belleforest lo conferma: "Grimoaldo fa eseguire una tonsura dal vescovo di Poitiers Dodon".
François de Belleforest 1573
Vedi: François de Belleforest 1573
Secondo François Eudes de Mézeray "Verso l'anno 653 Grimoaldo [...] fa eseguire la tonsura dal vescovo di Poitiers Didon" (7).
François Eudes de Mézeray 1687
Vedi: François Eudes de Mézeray 1687
Il piccolo Dagoberto viene dunque esiliato: secondo il Liber Historiæ Francorum "in Scocia", accompagnato dal vescovo di Poitiers, Didone Pectavense; anche de Belleforest parla di "Escosse", Jean du Tillet (1618) di "Ecosses" (8).
Jean du Tillet 1618
Vedi: Jean du Tillet 1618
De Mézeray parla piuttosto di Irlanda e di un monastero appartato; il reverendo Daniel mette d'accordo un po' tutti, scrivendo che "Didone vescovo di Poitiers [...] lo condusse in Ecosse" e in una nota a piè pagina specifica: "So bene che l'Hibernia [Irlanda], che veniva anche chiamata Isola degli Scozzesi, è stata in qualche occasione chiamata Scotia; ma a quanto racconta la Vita di San Vuilfrid, Dagoberto non raggiunse l'Hibernia se non dopo essere stato in Ecosse" (9).
Secondo François Eudes de Mézeray, "è probabile che [Grimoaldo] abbia diffuso la voce che il piccolo fosse morto" (10). Padre Daniel aggiunge che Grimoaldo "ne celebrò pubblicamente i funerali" (11). A seguito di ciò, Imnechilde, moglie di Sigeberto III e madre di Dagoberto, si rifugia quindi dal cognato Clodoveo II in Neustria (12).
François Eudes de Mézeray 1685
Vedi: François Eudes de Mézeray 1685
Ma che ne è del piccolo Dagoberto? Padre Daniel ritrova nella Vita Wilfridi alcuni accenni al giovane figlio di Sigeberto III e li riporta così: "Lasciato in Scozia o in Irlanda ad un'età ancora tenera dal vescovo di Poitiers, che l'aveva accompagnato, vaga a lungo senza ricevere alcun aiuto, esposto a mille pericoli e in uno stato di grande miseria. Vi dimora per diversi anni senza osare di tornare in Francia, dove sapeva bene che non sarebbe stato al sicuro, e forse nasconde a tutti la sua identità col timore che qualcuno in Francia possa sapere di lui e mandare qualcuno ad assassinarlo. Mentre si trova in questa condizione, incontra un inglese di valore, Wilfrid, col quale fa conoscenza e a cui confida la propria miseria. L'inglese viene mosso a compassione, lo trattiene presso di sé e lo porta in Inghilterra" (13).
Pére G. Daniel 1722
Vedi: Pére G. Daniel 1722
San Wilfrid (~634-709), vescovo di York dal 664 al 678, è un personaggio chiave nella ricostruzione della vita di Dagoberto: è nella sua biografia scritta dal suo contemporaneo Eddius Stephanus, la Vita Wilfridi, che si racconta l'esilio di Dagoberto II (14).
Eddius Stephanus ~700
Vedi: Eddius Stephanus ~700
Intanto in Austrasia il governo di un Pepinide, Grimoaldo, incontra presto l'opposizione dei notabili del regno, che vogliono ripristinare la linea di sangue merovingia; è Clodoveo II ad intervenire dalla Neustria: secondo François de Belleforest, Grimoaldo e il figlio vengono catturati e fatti prigionieri a Parigi.
François de Belleforest 1573
Vedi: François de Belleforest 1573
Mézeray avanza anche l'ipotesi che i due siano stati uccisi (15); è della stessa opinione Jean du Tillet, secondo cui Grimoaldo viene imprigionato e condannato a morte per tradimento e lesa maestà e suo figlio Childeberto "l'adottato" ucciso in battaglia (16).
Jean du Tillet 1618
Vedi: Jean du Tillet 1618
Il regno di Clodoveo II sull'Austrasia dura poco: alla sua morte viene suddiviso tra due dei suoi tre figli: Clotario III e Childerico II. Clotario III ha soltanto cinque anni quando diventa il reggente della Neustria; fa le sue veci il maestro di palazzo Ebroin. Alla morte di Clotario III, è il terzo fratello Tierri III a succedergli. In Austrasia è Childerico II a diventare re, ma anch'egli non ha che 3 o 4 anni.
In Neustria si procede alla tonsura di Tierri III, che viene mandato nel monastero di Saint Denis, e Austrasia e Neustria si riuniscono nelle mani di Childerico II. Alla morte di costui, la situazione politica è molto confusa: per riportare al trono un sovrano di stirpe merovingia, Tierri III viene richiamato da Saint Denis e rimesso sul trono.
A proposito della morte di Childerico II, François Eudes de Mézeray riporta un fatto curioso: qualche anno prima del 1685 presso la chiesa di Saint Germain des Pres vennero ritrovate due sepolcri di pietra, l'uno accanto all'altro; contenevano i corpi di un uomo, una donna e un bambino. L'iscrizione "Childeric" e alcuni ornamenti reali fecero ipotizzare che si trattasse delle tombe di Chiderico II, di sua moglie e del figlio (17).
François Eudes de Mézeray 1685
Vedi: François Eudes de Mézeray 1685
Continua de Mézeray: "persuasi dalla regina Imnechilde, vedova di re Sigeberto II (sic) [...] gli abitanti dell'Austrasia si ricordarono di quel Dagoberto che Grimoaldo aveva sottoposto a tonsura e relegato in Irlanda, e lo riconobbero re d'Austrasia, dove regnò per diversi anni" (18).
François Eudes de Mézeray 1685
Vedi: François Eudes de Mézeray 1685
Accompagnato da Wilfrid (19) Dagoberto torna dunque in Francia e diventa legittimo re d'Austrasia: ad attestarlo c'è un cartulario ufficiale datato 1° agosto 677 in cui viene nominato "Dagoberctus rex Francorum" (20).
Karolus Augustus Fridericus Pertz 1872
Vedi: Karolus Augustus Fridericus Pertz 1872
Spiega de Mézeray che la figura di Dagoberto fu dimenticata per molti secoli e spesso confusa con quella dell'omonimo re Dagoberto I vissuto un secolo prima: "Questo principe restò sconosciuto per quasi mille anni, e le sue gesta vennero completamente ignorate o confuse con quelle di Dagoberto I. La storia avrebbe continuato a credere che fosse morto in un monastero irlandese, se i critici moderni - primo tra tutti Adrian de Valois - non l'avesse riportato alla luce dall'oscurità dei secoli tenebrosi e non avesse prodotto prove indiscutibili della sua esistenza" (21). Fa riferimento a de Valois anche padre Daniel, che scrive: "Dobbiamo a [Godefroy] Henschenius la rinascita della sua figura quando [...] ha riportato alla luce questo importante momento della nostra storia antica", aggiungendo in nota: "E' il signor Valois a rivendicare questa scoperta" (22).
In effetti in un libro dedicato ai tre diversi Dagoberto (23) Godefroy Henschenius (1600-1681) nel 1655 aveva per la prima volta distinto la figura del figlio di Sigeberto III da quelle degli altri due Dagoberto - l'uno suo antenato (Dagoberto I), l'altro pronipote (Dagoberto III).
Scrive ancora de Mézeray: "Il giovane Dagoberto regnò in un clima di pace e trascorse la vita nell'esercizio della pietà, raccogliendo reliquie, decorando le chiese e riconfermando le donazioni padre ai monasteri che aveva edificato suo padre" (24).
I vari autori ci hanno lasciato resoconti discordanti circa la morte del re. De Mézeray è dubitativo sin dal titolo del paragrafo in cui ne parla: "Si suppone che sia stato ucciso in una battaglia":
Ho letto in un autore di quei tempi che scoppiò una battaglia tra i re Thierry e Dagoberto nei pressi di Langres: da ciò qualcuno ha ipotizzato che Dagoberto vi perse la vita, dal momento che non si trova più nessuna notizia di lui da quell'anno in avanti, e si dice che il suo corpo venne portato a Rouen grazie alle cure caritatevoli di San Ouin e inumato nella chiesa di Saint Pierre, come riporta l'autore della biografia di questo arcivescovo (25).
François Eudes de Mézeray 1685
Vedi: François Eudes de Mézeray 1685
Nel suo testo del 1687 de Mézeray racconterà la vicenda con toni simili, anche se ulteriormente dubitativi: "Dagoberto, caduto nelle mani dei suoi nemici, o per aver perso una battaglia, o per qualche altro incidente, venne ucciso. Il suo corpo venne portato a Rouen dove l'arcivescovo Ouin l'inumò nella chiesa di Saint Pierre. So bene che ci sono autori secondo cui visse ancora molto anni e che gli attribuiscono un figlio o più figli, ma ciò si basa a mio avviso su prove molto dubbie. Si ha notizia di un Dagoberto inumato a Stenai, in una chiesa innalzata a suo nome, dov'è onorato come martire. La sua leggenda vuole trattarsi di un re che venne assassinato in una foresta a due leghe di distanza da lì da suo figlioccio" (26).
François Eudes de Mézeray 1687
Vedi: François Eudes de Mézeray 1687
De Mézeray riporta l'esistenza di una chiesa dedicata a San Dagoberto a Stenay; l'autore è scettico sul fatto che si tratti dello stesso Dagoberto che ha governato sull'Austrasia: "Non può trattarsi dello stesso re di cui abbiamo parlato: esiste tuttavia qualche elemento che fa pensare si tratti di un membro della famiglia reale, ma si ignora di chi si tratti. Forse in futuro si scoprirà chi è" (27). Lo stesso dubbio è espresso da Alexandre Huguenin, che scrive: "Uno dei principali argomenti prodotti [contro l'ipotesi che sia lo stesso Dagoberto] è il fatto che Goffredo di Buglione, nel concedere il privilegio del priorato di San Dagoberto di Stenay ai religiosi di Gorze, non attribuisce mai al patrono della chiesa il titolo di Re" (28).
Secondo padre Daniel, Dagoberto venne ucciso "durante una caccia nella foresta di La Voivre" (29). Il Martyrologium Adonis è ancora più preciso, fissando l'omicidio al decimo giorno delle calende di gennaio, che Alexandre Huguenin fa corrispondere al 23 gennaio (30). Huguenin riporta anche un manoscritto anonimo scritto presso l'abbazia di Gorze in cui si racconta che Dagoberto morì sotto una quercia nei pressi di una fontana chiamata Aphays, ucciso da un figlioccio chiamato Grimoald (31).
In definitiva, non esistono fonti precise che ci consentano di capire dove e come morì Dagoberto II. La questione più importante e delicata, però, riguarda la discendenza di Dagoberto: ebbe dei figli? E in caso positivo, che fine fecero?
Note
(1) François de Belleforest, Les Chroniques et Annales de France dez l'origine des Francoys et leur venues es Gaules, Parigi: 1573 (parzialmente riprodotto in Les Cahiers de Rennes-le-Château 3, pp.7 e segg.)
(2) Pere G. Daniel, Histoire de France depuis l'établissement de la monarchie françoise dans les Gaules, Parigi: 1722 (parzialmente riprodotto in Les Cahiers de Rennes-le-Château 5/6, pp.47 e segg.)
(3) Liber Historiæ Francorum cap. 43 cit. in Monumenta Germania Historica - Scriptorum Rerum Merovingicarum, Hannover: 1888, t.II, p.316. Il Liber riporta anche il nome di una figlia di Sigeberto III, chiamata Bilichilde (in t.V, nota 2, p.290).
(4) Secondo Mézeray la morte sarebbe avvenuta il 1° febbraio 650 o lo stesso giorno del 654 in François Eudes de Mézeray, Abrégé chronologique de l'histoire de France, Lione: 1687 (parzialmente riprodotto in Les Cahiers de Rennes-le-Château 3, pp.17 e segg. e Les Cahiers de Rennes-le-Château 5/6, pp.32 e segg.).)
(5) Pere G. Daniel, Histoire de France depuis l'établissement de la monarchie françoise dans les Gaules, Parigi: 1722 (parzialmente riprodotto in Les Cahiers de Rennes-le-Château 5/6, pp.47 e segg.)
(6) Liber Historiæ Francorum cap. 43 cit. in Monumenta Germania Historica - Scriptorum Rerum Merovingicarum, Hannover: 1888, t.II, p.316.
(7) Si noti la discrepanza tra le due date: nel testo viene riportato l'anno 653, all'esterno del paragrafo l'anno 663. La data del 653 è verosimile soltanto se si accetta l'ipotesi precedentemente avanzata dallo stesso de Mézeray, secondo cui Sigeberto III sarebbe morto nel 650.
(8) Jean du Tillet, Recueil des rois de France, leurs couronne et maisons. Ensemble, le rang des grands de France, Parigi: Mettayer, 1618 (disponibile su Gallica), p.31
(9) Pere G. Daniel, Histoire de France depuis l'établissement de la monarchie françoise dans les Gaules, Parigi: 1722 (parzialmente riprodotto in Les Cahiers de Rennes-le-Château 5/6, pp.47 e segg.)
(10) François Eudes de Mézeray, Histoire de France, Parigi: 1685, p.245
(11) Pere G. Daniel, Histoire de France depuis l'établissement de la monarchie françoise dans les Gaules, Parigi: 1722 (parzialmente riprodotto in Les Cahiers de Rennes-le-Château 5/6, pp.47 e segg.)
(12) François Eudes de Mézeray, Histoire de France, Parigi: 1685, p.245 e François Eudes de Mézeray, Abrégé chronologique de l'histoire de France, Lione: 1687 (parzialmente riprodotto in Les Cahiers de Rennes-le-Château 3, pp.17 e segg. e Les Cahiers de Rennes-le-Château 5/6, pp.32 e segg.)
(13) Pere G. Daniel, Histoire de France depuis l'établissement de la monarchie françoise dans les Gaules, Parigi: 1722 (parzialmente riprodotto in Les Cahiers de Rennes-le-Château 5/6, pp.47 e segg.)
(14) Eddius Stephanus, Vita Wilfridi I episcopi eboracensis, ~700 cit. in Wilhelm Levison, Monumenta Germania Historica - Scriptorum Rerum Merovingicarum, vol.6, Hannover: 1913 (disponibile su Monumenta Germaniae Historica), p.170
(15) François Eudes de Mézeray, Histoire de France, Parigi: 1685, p.245
(16) Jean du Tillet, Recueil des rois de France, leurs couronne et maisons. Ensemble, le rang des grands de France, Parigi: Mettayer, 1618 (disponibile su Gallica), p.31
(17) François Eudes de Mézeray, Histoire de France, Parigi: 1685, p.260
(18) François Eudes de Mézeray, Histoire de France, Parigi: 1685, p.261
(19) Pere G. Daniel, Histoire de France depuis l'établissement de la monarchie françoise dans les Gaules, Parigi: 1722 (parzialmente riprodotto in Les Cahiers de Rennes-le-Château 5/6, pp.47 e segg.)
(20) Cit. in Karolus Augustus Fridericus Pertz, Diplomata regum Francorum e stirpe Merovingica, Hannover: 1872 (disponibile su Monumenta Germaniae Historica), t.I, cartulario 45, p.42.
(21) François Eudes de Mézeray, Histoire de France, Parigi: 1685, p.261
(22) Pere G. Daniel, Histoire de France depuis l'établissement de la monarchie françoise dans les Gaules, Parigi: 1722 (parzialmente riprodotto in Les Cahiers de Rennes-le-Château 5/6, pp.47 e segg.)
(23) Godefroy Henschenius, De tribus Dagobertis francorum regibus diatriba, Anversa: 1655
(24) François Eudes de Mézeray, Abrégé chronologique de l'histoire de France, Lione: 1687 (parzialmente riprodotto in Les Cahiers de Rennes-le-Château 3, pp.17 e segg. e Les Cahiers de Rennes-le-Château 5/6, pp.32 e segg.), p.261
(25) François Eudes de Mézeray, Histoire de France, Parigi: 1685
(26) François Eudes de Mézeray, Abrégé chronologique de l'histoire de France, Lione: 1687 (parzialmente riprodotto in Les Cahiers de Rennes-le-Château 3, pp.17 e segg. e Les Cahiers de Rennes-le-Château 5/6, pp.32 e segg.).
(27) François Eudes de Mézeray, Abrégé chronologique de l'histoire de France, Lione: 1687 (parzialmente riprodotto in Les Cahiers de Rennes-le-Château 3, pp.17 e segg. e Les Cahiers de Rennes-le-Château 5/6, pp.32 e segg.)
(28) Alexandre Huguenin, Histoire du Royaume Mérovingien d'Austrasie, Parigi: 1862 (disponibile su Google Books), p.457
(29) Pere G. Daniel, Histoire de France depuis l'établissement de la monarchie françoise dans les Gaules, Parigi: 1722 (parzialmente riprodotto in Les Cahiers de Rennes-le-Château 5/6, pp.47 e segg.)
(30) D. Georgius, Martyrologium Adonis, Roma: 1745, t.I, Martii, p.19 cit. in Alexandre Huguenin, Histoire du Royaume Mérovingien d'Austrasie, Parigi: 1862 (disponibile su Google Books), p.449.
(31) Nouvelle histoire de Metz, manoscritto della biblioteca di Metz, t.I, p.57 cit. in Alexandre Huguenin, Histoire du Royaume Mérovingien d'Austrasie, Parigi: 1862 (disponibile su Google Books), p.451.
» 13. Ci fu un Sigeberto IV?
Ci fu un Sigeberto IV?
Secondo una leggenda relativa a Sant'Arbogasto (?-678), vescovo di Strasburgo, Dagoberto avrebbe sposato una duchessa "sassone" chiamata Mathildis, e da lei ebbe un figlio che chiamò Sigeberto. Tale leggenda venne registrata per la prima volta nella Vita Arbogasti, scritta nel X secolo (1). Secondo il genealogista Christian Settipani la Vita Arbogasti è una fonte dubbia perché farebbe riferimento piuttosto a Dagoberto I, che in effetti ebbe un figlio chiamato Sigeberto (il Sigeberto III padre di Dagoberto II) e una moglie dal nome simile: Nanthildis (2). In effetti, all'epoca in cui la leggenda viene registrata per la prima volta c'è grande confusione tra i tre diversi Dagoberto, e solo a metà del XVII secolo Godefroy Henschenius provvederà a chiarire le distinzioni.
Ulteriore confusione è dovuta - per lo stesso motivo - ad un testo scritto all'inizio dell'VIII secolo: la Vita Amandi Episcopi I (3), dove si racconta la vita di Sant'Amando (~584–675). Tra gli episodi citati, uno vede come protagonisti Dagoberto e la moglie nel gesto di battezzare il figlio Sigeberto. Sebbene alcuni abbiano pensato che si trattasse di un riferimento al figlio di Dagoberto II, ciò è scorretto: l'anonimo autore si riferisce infatti a Dagoberto I e a suo figlio Sigeberto III.
La debolezza dell'ipotesi che Dagoberto abbia avuto un figlio ha un'eco sugli autori che riprenderanno la leggenda di San Arbogasto e la Vita Amandi. Nel 1685 de Mézeray si esprime in modo molto dubbioso sull'esistenza di un figlio, scrivendo esplicitamente:
In quei giorni morì Dagoberto, re d'una parte d'Austrasia. So bene che ci sono autori secondo cui visse ancora molto anni e che gli attribuiscono un figlio o più figli, ma ciò si basa a mio avviso su prove molto dubbie; e se ebbe un figlio, non si può dire che sopravvisse a suo padre, a meno che non si voglia concedere il beneficio del dubbio a qualche genealogista moderno che ne ha bisogno per far quadrare i suoi conti (4).
François Eudes de Mézeray 1685
Vedi: François Eudes de Mézeray 1685
Nel 1702 Vincent de Nancy riporta il nome della principessa anglosassone "Mechtilde", da cui Dagoberto avrebbe avuto un figlio chiamato "Sigebert" (5):
R.P. Vincent de Nancy 1702
Vedi: R.P. Vincent de Nancy 1702
Vent'anni più tardi, nel 1722, il reverendo Daniel è notevolmente più cauto nell'attribuire a Dagoberto un figlio:
Qualche antico documento attribuisce a questo Dagoberto un figlio chiamato Sigeberto, che si suppone sia stato ucciso con lui, e quindi il trono d'Austrasia rimane vacante (6).
Pére G. Daniel 1722
Vedi: Pére G. Daniel 1722
Un dato è certo: nonostante il trono sia vacante, nessuno dei figli di Dagoberto viene considerato tra i possibili eredi. Lo conferma Vincent de Nancy, che scrive:
Quanto al principe Sigeberto, figlio di Dagoberto, apparentemente morì nello stesso momento del padre, o poco dopo; infatti l'autore che ha proseguito la cronaca di Fredegario ha scritto che i Re, vale a dire Dagoberto e suo figlio Sigeberto, sono morti in Austrasia, Defunctis Regibus (7).
R.P. Vincent de Nancy 1702
Vedi: R.P. Vincent de Nancy 1702
Per inciso, Alexandre Huguenin attribuisce a Dagoberto II tre figlie femmine: Adéla, Irmina e Régentrude (8).
Alexandre Huguenin 1862
Vedi: Alexandre Huguenin 1862
In conclusione, l'esistenza di Sigeberto è dubbia, fondandosi su fonti primarie da analizzare con cautela e che potrebbero riferirsi ad un omonimo. Si può affermare invece con certezza che nessun cronista noto l'ha mai identificato con il numero ordinale IV, né esistono resoconti della sua vita che possano far pensare ad una sua eventuale fuga verso l'antica Rennes-le-Château - come invece verrà affermato, senza produrre alcuna evidenza, nel corso del XX secolo.
Altresì non ci sono documenti che attestino il fatto che Dagoberto avrebbe avuto il presunto figlio in seconde nozze da una principessa chiamata Gisele du Razès; la donna, che verrà chiamata in causa nel corso del Novecento da Pierre Plantard, se mai esistita non ha lasciato alcuna traccia di sé - e viene da chiedersi, dunque, in che modo i genealogisti citati dal francese possano aver raccolto la notizia della sua esistenza, del suo matrimonio e della sua discendenza.
La Storia si limita a constatare l'assenza di eredi nella linea di Dagoberto II; il potere passa, quindi, nelle mani di un Pepinide estraneo alla dinastia merovingia: Pépin d'Héristal (~640-714), nipote di Pépin de Landen.
Gli ultimi re merovingi, ormai chiamati "fannulloni", saranno sempre fedeli ai Pepinidi e in pochi anni perderanno tutto il loro potere. A Pépin d'Héristal succede il figlio Carlo Martello (685-741) e a costui il figlio Pipino il Breve (715-768).
L'ultimo dei re Merovingi è Childéric III (714-753): alleatosi con il Papa, Pipino il Breve procede alla tonsura di Childéric, privandolo così di ogni potere e rinchiudendolo nel monastero di Saint Bertin a Saint Omer. Pipino si impadronisce del titolo di re dei Franchi nel 751, diventando così il primo re della dinastia Pepinide, che dal suo discendente Carlo Magno prenderà il nome di dinastia Carolingia.
Note
(1) Riprodotta in Patrologia Latina, t.134, Migne: 1853.
(2) Christian Settipani, La préhistoire des Capétiens, 1993, p.109
(3) La Vita Amandi Episcopi è riprodotta nei Monumenta Germania Historica - Scriptorum Rerum Merovingicarum, vol.5, Hannover: 1910 (è disponibile nei Monumenta Germaniae Historica)
(4) François Eudes de Mézeray, Histoire de France, Parigi: 1685, p.268
(5) R.P. Vincent de Nancy, Histoire fidelle de Saint Sigisbert XII roy d'Austrasie et III du nom avec un abregé de la vie du roy Dagobert son fils, Nancy: 1702 (ora in allegato a Louis Vazart, Dagobert II et le mystere de la cité royale de Stenay, Parigi: 1983), "La Vie de Saint Dagobert", p.13
(6) Pere G. Daniel, Histoire de France depuis l'établissement de la monarchie françoise dans les Gaules, Parigi: 1722 (parzialmente riprodotto in Les Cahiers de Rennes-le-Château 5/6, pp.47 e segg.)
(7) R.P. Vincent de Nancy, Histoire fidelle de Saint Sigisbert XII roy d'Austrasie et III du nom avec un abregé de la vie du roy Dagobert son fils, Nancy: 1702 (ora in allegato a Louis Vazart, Dagobert II et le mystere de la cité royale de Stenay, Parigi: 1983), p.44
(8) Alexandre Huguenin, Histoire du Royaume Mérovingien d'Austrasie, Parigi: 1862 (disponibile su Google Books), p.453
http://www.renneslechateau.it/rennes-le-chateau.php?sezione=guida&cap=13
GIANNI LONG SOSTIENE CHE C'E' UNA LEGGENDA MOLTO ANTICA RIGUARDO A MARIA MADDALENA COME PROGENITRICE DEI MEROVNGI-DA DOVE PRENDE QUESTA NOTIZIA ?
E di Maddalena sposa di Gesù?
“Sposa di Gesù non mi risulta, ma progenitrice dei Merovingi, questa sì, è una leggenda molto antica;
Intervista a Gianni Long
di Arnaldo Casali
In principio fu Valdo, poi vennero Lutero e Calvino. Oggi sono innumerevoli le chiese protestanti in tutto il mondo con una storia, una teologia, un'organizzazione molto diversa l'una dall'altra: si va dagli Anglicani (i più vicini ai cattolici) agli Avventisti, passando per i Pentecostali, i Battisti, gli Anabattisti, i Quaccheri. Un elenco che non comprende, peraltro, le tante sette religiose come Mormoni e Testimoni di Geova, non riconosciuti dal mondo protestante.
In Italia la più importante organizzazione che riunisce le chiese riformate è la Federazione delle Chiese Evangeliche, cui aderiscono Valdesi, Battisti, Metodisti, Luterani ed Esercito della Salvezza e che - insieme alla Conferenza Episcopale Italiana e l’Arcidiocesi ortodossa d’Italia - ha organizzato la terza tappa del Convegno ecumenico nazionale in preparazione dell’assemblea di Sibiu.
Dal 2000 presidente della Federazione è Gianni Long, giurista, musicologo e docente di diritto parlamentare presso la Luiss di Roma.
Che bilancio può trarre della terza tappa del Convegno ecumenico italiano che si è svolta a Terni?
“Mi pare che in il convegno ternano sia servito a definire bene l’identità della Carta ecumenica. Si tratta di un documento storico, elaborato dal Consiglio Ecumenico delle Chiese e dalle Conferenze episcopali europee, che rappresenta un impegno, non un trattato. La grande maggioranza delle chiese lo ha ratificato, questo significa che lo considerano un impegno morale e prezioso rispetto al quale c’è bisogno di andare avanti, condividendolo anche con le chiese che non lo hanno elaborato. Credo infatti che la Carta ecumenica debba diventare un punto di aggregazione per altre confessioni europee che si andranno ad aggiungere alla Kek”.
La Kek raccoglie le chiese protestanti e ortodosse. Pensa che un giorno anche la Chiesa cattolica dovrà entrare in questo consiglio?
“Fino ad oggi si è tentato di aggregare la chiesa cattolica al Consiglio ecumenico delle Chiese. Forse oggi proprio la Carta Ecumenica può diventare uno strumento di dialogo per le chiese, e non solo per quelle europee”.
L’Europa rappresenta un faro per l’Ecumenismo nel mondo?
“Probabilmente sì. Fino a 50 anni fa era più facile che ci fossero degli scambi nei paesi dove i cristiani sono minoranze. Per molto tempo si è pensato che questo modello potesse arrivare in Europa. La carta Ecumenica stabilisce un rapporto non di fraternità, ma di fiducia e solidarietà, introducendo impegni concreti, come quello della libertà religiosa, con cui si lascia la libertà di convertirsi, e allo stesso tempo si introduce il rifiuto di conversioni indotte. L’altro impegno concreto è quello di cercare di condividere iniziative di evangelizzazione, perché le chiese che fanno parte della Carta ecumenica non sono concorrenti, ma concorrono nell’evangelizzazione, nella propria appartenenza ecclesiale. Poi ci sono iniziative comuni, ad esempio nei confronti dell’islam, dell’ebraismo e di altre religioni. Da questo punto di vista abbiamo visto una serie di applicazioni: la più interessante è la linea nei confronti dell’Unione Europea che vede posizioni comuni al 98%”.
A questo proposito c’è il discorso sulle radici cristiane, che secondo voi è stato sopravvalutato dai media.
“Sulla questione delle radici cristiane abbiamo avuto negli ultimi mesi discorsi trasversali, con posizioni diverse all’interno delle stesse chiese, mentre l’articolo 52 della Costituzione Europea è stato voluto congiuntamente da tutte le chiese nel 2002. Questo punto è stato possibile introdurlo grazie alle posizioni comuni di tutte le chiese europee”.
In cosa consiste, concretamente, l’articolo 52?
“Noi riteniamo che tra Ue e chiese cristiane non debba esserci né un separatismo assoluto né forme concordatarie: le nostre richieste sono, prima di tutto, il rispetto dei rapporti nazionali, secondo che l’Ue intrecci un dialogo costante, regolare e di fiducia con le Chiese. Chiediamo un riconoscimento reciproco, chiediamo che ci sia un coordinamento, un rapporto, e non una separazione assoluta, con tutti i soggetti”.
Cosa ne pensa del caso che si è creato attorno al Codice Da Vinci?
“Una volta ho sentito una laude secondo cui Gesù non era sposato con la Maddalena, ma con la Veronica. Beh, a parte queste curiosità, al di là di tutto il chiasso che si è fatto sull’argomento io credo che il Codice Da Vinci sia un ottimo libro giallo, che ha pescato in un filone esistente, nella storia del cristianesimo. La tradizione della Maddalena è molto articolata: dalla prostituta alla progenitrice dei merovingi. L’unica cosa certa – perché ce la dicono tutti i Vangeli - è che sia stata testimone della resurrezione. Ma attorno sono fiorite tante leggende, anche molto interessanti”.
Per esempio?
“Jacopo da Varagine, nella Leggenda Aurea, sostiene che la Maddalena fosse la fidanzata di Giovanni, e che quando il suo uomo si è diventato discepolo di Gesù lei, per ripicca, si sia messa a fare la prostituta. Poi c’è tutta la tradizione iconografica della Maddalena penitente, consolata dagli angeli per la morte di Cristo. E questo perché – evidentemente – sentiva questa perdita più forte di tutti gli altri. Nel Laudario di Cortona troviamo ben due laude dedicate a lei”.
Insomma Dan Brown ha ripreso un filone che esisteva già...
“Certo, poi il Codice Da Vinci è un libro giallo scritto in modo molto casareccio. Non bisogna sopravvalutarlo, o considerarlo una sorta di ‘nuovo vangelo’ come quello di Giuda. Resta il fatto che Maria di Magdala è un personaggio molto sottovalutato. In tutti i vangeli fa parte del primo gruppo di donne che vanno al sepolcro e a cui Gesù appare per prima. Cristo risorto appare per primo ad un gruppo di donne. Noi protestanti questo elemento l’abbiamo particolarmente accentuato”.
Nel corso delle epoche è cambiata la tradizione di Maria di Magdala?
“Ci sono molte tradizioni iconografiche. C’è la Maddalena di rosso vestita, tipica della pittura medievale o primo rinascimentale, è c’è la Maddalena discinta, nuda, speculare all’immagine di San Sebastiano. Nel Cinquecento, poi domina l’interpretazione del “Gesù giardiniere”: il Vangelo ci dice che Maria aveva scambiato Cristo risorto per un giardiniere, e così abbiamo quest’iconografia, con Gesù con la pala e gli zoccoli. Insomma non è lei che ha sbagliato, ma è lui che si è travestito”.
Crede che il Codice Da Vinci possa rappresentare un’opportunità per i cristiani, per approfondire o scoprire alcuni aspetti della propria storia?
“Tom Hanks ha detto che l’uomo medio va più volentieri al cinema che ad una conferenza, e questo è vero. Può essere un veicolo. E’ un discorso che vale anche per Angeli e demoni: dopo averlo letto io sono andato a vedere la chiesa di Santa Maria della Vittoria, quella dove si trova la celebre statua di Teresa D’Avila del Bernini. E’ a due passi dalla Federazione e non c’ero mai stato!”.
Crede che realmente nel quadro dell’ultima cena Leonardo possa aver ritratto la Maddalena?
“Non posso escludere che ci fosse una voluta ambiguità. D’altra parte, come dicevo prima, la figura di Maria di Magdala è molto legata a quella di Giovanni, che è ritratto sempre giovane e con tratti femminei. La giovinezza di Giovanni è associata alla verginità, Giovanni è sempre giovane perché è vergine, mentre gli altri apostoli erano tutti sposati. Quindi credo che ci possa essere stata, da parte di Leonardo, una sovrapposizione di questi due personaggi che Jacopo da Varagine riteneva così legati”.
E di Maddalena sposa di Gesù?
“Sposa di Gesù non mi risulta, ma progenitrice dei Merovingi, questa sì, è una leggenda molto antica; così come sicuramente la Maddalena è una santa molto ‘occidentale’, in particolar modo francese, e ancora più nello specifico della Francia del sud. Nell’iconografia orientale Maria Maddalena è rappresentata solo nelle scene della resurrezione e ai piedi della croce. In occidente, invece, è emblema della ricchezza, rappresenta l’altra faccia del cristianesimo, rispetto al pauperismo dei valdesi e dei francescani”.
Maria di Magdala è insomma un simbolo di un cristianesimo aristocratico?
“Sicuramente Maria è ricca. Forse perché prostituta, o forse perché di stirpe regale. Resta il fatto che è l’immagine delle classi alte”.
E’ Jacopo da Varagine il padre di tutte le leggenda su Maria di Magdala?
“Jacopo da Vargine fu un personaggio interessantissimo. Arcivescovo di Genova, spiritualista e agiografo, fu anche il primo cattolico a tradurre i libri della Bibbia in italiano per fare concorrenza agli eretici. Venne chiamato a predicare in Laterano, dal papa. Bonifacio VII gli soffiò in faccia le ceneri dicendo ‘che tu possa morire bruciato’. Nessuna delle sue traduzioni è arrivata fino a noi”.
Professor Long, perché lei è protestante?
“La mia famiglia è protestante da secoli. Faccio parte di quel piccolo popolo-chiesa che ha i problemi tipici di tutte le comunità etniche. Un piccolo mondo, dove, come disse un pastore, l’appartenenza alla Chiesa non è una grazia, ma un fatto. I Long erano una famiglia protestante già nel 1600, che nel ‘700 si mescolò con gente venuta dalla Svizzera e dall’Olanda. Erano tempi in cui se una fanciulla sposava uno straniero il Concistoro doveva assicurarsi che lo sposo fosse battezzato e membro di una chiesa evangelica, pena la sco munica. D’altra parte i contatti erano invitabili, anche perché i pastori andavano a studiare in Svizzera”.
Mi ha detto che per i valdesi delle valli piemontesi essere protestanti è un fatto, non una scelta. Cosa comporta questo?
“Comporta che viviamo la stessa secolarizzazione delle chiese nazionali e dei cattolici italiani. Così come la maggior parte degli italiani danno l’8 per mille alla Chiesa cattolica, ma non vanno a messa, anche nel nostro microcosmo delle valli valdesi abbiamo situazioni in cui la maggior parte della gente si riconosce nella Chiesa ma se ne ricorda solo per il battesimo, il funerale e il matrimonio”.
A proposito del battesimo. Quando lo praticate?
“E’ un discorso abbastanza elastico. Spesso si fa da bambini, e poi richiede una Confermazione. Io sono piuttosto contrario a questa pratica”.
Lei è cresciuto a Pinerolo, una città in cui è presente un’importante Comunità di base cattolica...
“Negli ultimi anni c’è stato un importante dialogo con i cattolici, grazie alla comunità di base, e anche grazie al vescovo Giachetti, che ha saputo cambiare completamente i rapporti con i protestanti, soprattutto per quanto riguarda i matrimoni misti. D’altra parte i vescovi di frontiera hanno sempre poteri molto estesi”.
Pinerolo è una diocesi di frontiera?
“E’ nata nel ‘700 con funzioni antivaldesi, ma negli ultimi anni è riuscita ad essere davvero profetica sul terreno dell’Ecumenismo grazie al vescovo Giachetti, anche se i rapporti erano già molto buoni con il suo predecessore, Santo Quadri, che poi è stato promosso vescovo proprio di Terni, e che oggi è arcivescovo emerito di Modena”.
Mi diceva dei matrimoni misti...
“Inizialmente i metodi proposti da Giachetti furono rifiutati dai valdesi. In seguito quella formula sarebbe stata individuata come la migliore anche a livello nazionale. E’ stata una decisione storica”.
Come si fa un matrimonio misto?
“Non con un rito ecumenico. Ma c’è un riconoscimento reciproco delle due chiese. Con un documento comune la chiesa valdese riconosce il matrimonio cattolico e viceversa. Con alcune condizioni: da parte cattolica non si ammettono i matrimoni di divorziati, da parte nostra non riconosciamo matrimoni che non abbiano effetti civili”.
Un momento, per voi il matrimonio non è un sacramento.
“No, non lo è. Per noi un matrimonio ha soprattutto effetti civili”.
Come può la Chiesa cattolica riconoscere un matrimonio protestante se non è un sacramento?
“Non lo riconosce come sacramento, ma ne riconosce tutti gli effetti canonici e legali. Insomma la coppia è sposata, a tutti gli effetti. L’accordo con la chiesa valdese è stato fatto nel 1997, mentre attualmente è in esame il riconoscimento con i Battisti”.
Che differenza c’è tra valdesi, metodisti e calvinisti?
“La Chiesa valdese, in Italia, ha radici antichissime, che risalgono al medioevo. Valdo era più o meno contemporaneo di san Francesco. Nel 1500 i valdesi italiani hanno aderito alla Riforma Calvinista. Quindi noi, a livello internazionale, siamo Calvinisti e insieme ai Pentecostali e i Riformati siamo le cosiddette “Chiesa evangeliche”. In Italia, invece, siamo ‘gemellati’ con la chiesa Metodista, con cui condividiamo tutto tranne gli aspetti finanziari e i rapporti ecumenici”.
Quindi avete pastori e chiese comuni...
“Sì. A Terni, per esempio, la chiesa è metodista, mentre il pastore è valdese”.
Il ministro di culto viene ordinato come i sacerdoti cattolici, o è semplicemente un laico che ha studiato teologia?
“Non si chiama ordinazione, ma viene consacrato. Durante la cerimonia di consacrazione tutta l’assemblea impone le mani su di lui. A Pinerolo da molti anni il vescovo partecipa alla consacrazione dei pastori valdesi. Ma Giachetti ha introdotto una novità molto bella e significativa che continua ancora oggi, imponendo a sua volta le mani sul pastore”.
Vuole dirmi che a Pinerolo il pastore protestante viene consacrato dal vescovo cattolico?
“Non solo da lui. Il vescovo impone le mani insieme magari ad altre mille persone. Ma partecipa alla consacrazione, sì”.
Che altri ruoli esistono nella chiesa valdese, oltre al pastore?
“Innanzitutto va detto che esistono due tipi di pastore: oltre al pastore al servizio della comunità, che viene mantenuto dalla chiesa e si sposta a seconda delle esigenze, esiste anche il cosiddetto pastore locale che di norma ha un altro lavoro: è un pastore a tutti gli effetti ma non viene stipendiato e – di conseguenza – non può essere trasferito. Poi ci sono i diaconi, che hanno ruoli prettamente legati alla carità. Infine ci sono i predicatori. Io ad esempio, non sono pastore, ma predicatore”.
I luterani sono più ‘clericali’ dei valdesi?
“In qualche modo. I calvinisti, ad esempio, possono affidare una comunità anche ad un predicatore, mentre i luterani stanno ancora esaminando questo aspetto. Poi ad esempio, il pastore luterano dispone di una sorta di ‘veto teologico’ sul sinodo, un po’ come quello di cui dispone il presidente della Repubblica nei confronti del Parlamento”.
Quale è il ruolo della Federazione delle Chiese evangeliche in Italia?
“La federazione riunisce Valdesi, Metodisti, Luterani, Esercito della Salvezza e piccole chiese locali. Ci occupiamo di istruzione ed educazione, catechismo, comunicazione, stampa e televisione, curando – ad esempio – la trasmissione Protestantesimo, ma anche del servizio ai rifugiati e migranti”.
Oltre ai matrimoni, esistono altre forme di comunione liturgica, oggi, tra cattolici e protestanti?
“A Pinerolo si pratica l’intercomunione. Quando organizziamo gli incontri con la Comunità di base, i cattolici partecipano alla Santa Cena, mentre tendenzialmente i valdesi non partecipano all’Eucarestia”.
http://www.diocesi.terni.it/varie.asp?ID=300
“Sposa di Gesù non mi risulta, ma progenitrice dei Merovingi, questa sì, è una leggenda molto antica;
Intervista a Gianni Long
di Arnaldo Casali
In principio fu Valdo, poi vennero Lutero e Calvino. Oggi sono innumerevoli le chiese protestanti in tutto il mondo con una storia, una teologia, un'organizzazione molto diversa l'una dall'altra: si va dagli Anglicani (i più vicini ai cattolici) agli Avventisti, passando per i Pentecostali, i Battisti, gli Anabattisti, i Quaccheri. Un elenco che non comprende, peraltro, le tante sette religiose come Mormoni e Testimoni di Geova, non riconosciuti dal mondo protestante.
In Italia la più importante organizzazione che riunisce le chiese riformate è la Federazione delle Chiese Evangeliche, cui aderiscono Valdesi, Battisti, Metodisti, Luterani ed Esercito della Salvezza e che - insieme alla Conferenza Episcopale Italiana e l’Arcidiocesi ortodossa d’Italia - ha organizzato la terza tappa del Convegno ecumenico nazionale in preparazione dell’assemblea di Sibiu.
Dal 2000 presidente della Federazione è Gianni Long, giurista, musicologo e docente di diritto parlamentare presso la Luiss di Roma.
Che bilancio può trarre della terza tappa del Convegno ecumenico italiano che si è svolta a Terni?
“Mi pare che in il convegno ternano sia servito a definire bene l’identità della Carta ecumenica. Si tratta di un documento storico, elaborato dal Consiglio Ecumenico delle Chiese e dalle Conferenze episcopali europee, che rappresenta un impegno, non un trattato. La grande maggioranza delle chiese lo ha ratificato, questo significa che lo considerano un impegno morale e prezioso rispetto al quale c’è bisogno di andare avanti, condividendolo anche con le chiese che non lo hanno elaborato. Credo infatti che la Carta ecumenica debba diventare un punto di aggregazione per altre confessioni europee che si andranno ad aggiungere alla Kek”.
La Kek raccoglie le chiese protestanti e ortodosse. Pensa che un giorno anche la Chiesa cattolica dovrà entrare in questo consiglio?
“Fino ad oggi si è tentato di aggregare la chiesa cattolica al Consiglio ecumenico delle Chiese. Forse oggi proprio la Carta Ecumenica può diventare uno strumento di dialogo per le chiese, e non solo per quelle europee”.
L’Europa rappresenta un faro per l’Ecumenismo nel mondo?
“Probabilmente sì. Fino a 50 anni fa era più facile che ci fossero degli scambi nei paesi dove i cristiani sono minoranze. Per molto tempo si è pensato che questo modello potesse arrivare in Europa. La carta Ecumenica stabilisce un rapporto non di fraternità, ma di fiducia e solidarietà, introducendo impegni concreti, come quello della libertà religiosa, con cui si lascia la libertà di convertirsi, e allo stesso tempo si introduce il rifiuto di conversioni indotte. L’altro impegno concreto è quello di cercare di condividere iniziative di evangelizzazione, perché le chiese che fanno parte della Carta ecumenica non sono concorrenti, ma concorrono nell’evangelizzazione, nella propria appartenenza ecclesiale. Poi ci sono iniziative comuni, ad esempio nei confronti dell’islam, dell’ebraismo e di altre religioni. Da questo punto di vista abbiamo visto una serie di applicazioni: la più interessante è la linea nei confronti dell’Unione Europea che vede posizioni comuni al 98%”.
A questo proposito c’è il discorso sulle radici cristiane, che secondo voi è stato sopravvalutato dai media.
“Sulla questione delle radici cristiane abbiamo avuto negli ultimi mesi discorsi trasversali, con posizioni diverse all’interno delle stesse chiese, mentre l’articolo 52 della Costituzione Europea è stato voluto congiuntamente da tutte le chiese nel 2002. Questo punto è stato possibile introdurlo grazie alle posizioni comuni di tutte le chiese europee”.
In cosa consiste, concretamente, l’articolo 52?
“Noi riteniamo che tra Ue e chiese cristiane non debba esserci né un separatismo assoluto né forme concordatarie: le nostre richieste sono, prima di tutto, il rispetto dei rapporti nazionali, secondo che l’Ue intrecci un dialogo costante, regolare e di fiducia con le Chiese. Chiediamo un riconoscimento reciproco, chiediamo che ci sia un coordinamento, un rapporto, e non una separazione assoluta, con tutti i soggetti”.
Cosa ne pensa del caso che si è creato attorno al Codice Da Vinci?
“Una volta ho sentito una laude secondo cui Gesù non era sposato con la Maddalena, ma con la Veronica. Beh, a parte queste curiosità, al di là di tutto il chiasso che si è fatto sull’argomento io credo che il Codice Da Vinci sia un ottimo libro giallo, che ha pescato in un filone esistente, nella storia del cristianesimo. La tradizione della Maddalena è molto articolata: dalla prostituta alla progenitrice dei merovingi. L’unica cosa certa – perché ce la dicono tutti i Vangeli - è che sia stata testimone della resurrezione. Ma attorno sono fiorite tante leggende, anche molto interessanti”.
Per esempio?
“Jacopo da Varagine, nella Leggenda Aurea, sostiene che la Maddalena fosse la fidanzata di Giovanni, e che quando il suo uomo si è diventato discepolo di Gesù lei, per ripicca, si sia messa a fare la prostituta. Poi c’è tutta la tradizione iconografica della Maddalena penitente, consolata dagli angeli per la morte di Cristo. E questo perché – evidentemente – sentiva questa perdita più forte di tutti gli altri. Nel Laudario di Cortona troviamo ben due laude dedicate a lei”.
Insomma Dan Brown ha ripreso un filone che esisteva già...
“Certo, poi il Codice Da Vinci è un libro giallo scritto in modo molto casareccio. Non bisogna sopravvalutarlo, o considerarlo una sorta di ‘nuovo vangelo’ come quello di Giuda. Resta il fatto che Maria di Magdala è un personaggio molto sottovalutato. In tutti i vangeli fa parte del primo gruppo di donne che vanno al sepolcro e a cui Gesù appare per prima. Cristo risorto appare per primo ad un gruppo di donne. Noi protestanti questo elemento l’abbiamo particolarmente accentuato”.
Nel corso delle epoche è cambiata la tradizione di Maria di Magdala?
“Ci sono molte tradizioni iconografiche. C’è la Maddalena di rosso vestita, tipica della pittura medievale o primo rinascimentale, è c’è la Maddalena discinta, nuda, speculare all’immagine di San Sebastiano. Nel Cinquecento, poi domina l’interpretazione del “Gesù giardiniere”: il Vangelo ci dice che Maria aveva scambiato Cristo risorto per un giardiniere, e così abbiamo quest’iconografia, con Gesù con la pala e gli zoccoli. Insomma non è lei che ha sbagliato, ma è lui che si è travestito”.
Crede che il Codice Da Vinci possa rappresentare un’opportunità per i cristiani, per approfondire o scoprire alcuni aspetti della propria storia?
“Tom Hanks ha detto che l’uomo medio va più volentieri al cinema che ad una conferenza, e questo è vero. Può essere un veicolo. E’ un discorso che vale anche per Angeli e demoni: dopo averlo letto io sono andato a vedere la chiesa di Santa Maria della Vittoria, quella dove si trova la celebre statua di Teresa D’Avila del Bernini. E’ a due passi dalla Federazione e non c’ero mai stato!”.
Crede che realmente nel quadro dell’ultima cena Leonardo possa aver ritratto la Maddalena?
“Non posso escludere che ci fosse una voluta ambiguità. D’altra parte, come dicevo prima, la figura di Maria di Magdala è molto legata a quella di Giovanni, che è ritratto sempre giovane e con tratti femminei. La giovinezza di Giovanni è associata alla verginità, Giovanni è sempre giovane perché è vergine, mentre gli altri apostoli erano tutti sposati. Quindi credo che ci possa essere stata, da parte di Leonardo, una sovrapposizione di questi due personaggi che Jacopo da Varagine riteneva così legati”.
E di Maddalena sposa di Gesù?
“Sposa di Gesù non mi risulta, ma progenitrice dei Merovingi, questa sì, è una leggenda molto antica; così come sicuramente la Maddalena è una santa molto ‘occidentale’, in particolar modo francese, e ancora più nello specifico della Francia del sud. Nell’iconografia orientale Maria Maddalena è rappresentata solo nelle scene della resurrezione e ai piedi della croce. In occidente, invece, è emblema della ricchezza, rappresenta l’altra faccia del cristianesimo, rispetto al pauperismo dei valdesi e dei francescani”.
Maria di Magdala è insomma un simbolo di un cristianesimo aristocratico?
“Sicuramente Maria è ricca. Forse perché prostituta, o forse perché di stirpe regale. Resta il fatto che è l’immagine delle classi alte”.
E’ Jacopo da Varagine il padre di tutte le leggenda su Maria di Magdala?
“Jacopo da Vargine fu un personaggio interessantissimo. Arcivescovo di Genova, spiritualista e agiografo, fu anche il primo cattolico a tradurre i libri della Bibbia in italiano per fare concorrenza agli eretici. Venne chiamato a predicare in Laterano, dal papa. Bonifacio VII gli soffiò in faccia le ceneri dicendo ‘che tu possa morire bruciato’. Nessuna delle sue traduzioni è arrivata fino a noi”.
Professor Long, perché lei è protestante?
“La mia famiglia è protestante da secoli. Faccio parte di quel piccolo popolo-chiesa che ha i problemi tipici di tutte le comunità etniche. Un piccolo mondo, dove, come disse un pastore, l’appartenenza alla Chiesa non è una grazia, ma un fatto. I Long erano una famiglia protestante già nel 1600, che nel ‘700 si mescolò con gente venuta dalla Svizzera e dall’Olanda. Erano tempi in cui se una fanciulla sposava uno straniero il Concistoro doveva assicurarsi che lo sposo fosse battezzato e membro di una chiesa evangelica, pena la sco munica. D’altra parte i contatti erano invitabili, anche perché i pastori andavano a studiare in Svizzera”.
Mi ha detto che per i valdesi delle valli piemontesi essere protestanti è un fatto, non una scelta. Cosa comporta questo?
“Comporta che viviamo la stessa secolarizzazione delle chiese nazionali e dei cattolici italiani. Così come la maggior parte degli italiani danno l’8 per mille alla Chiesa cattolica, ma non vanno a messa, anche nel nostro microcosmo delle valli valdesi abbiamo situazioni in cui la maggior parte della gente si riconosce nella Chiesa ma se ne ricorda solo per il battesimo, il funerale e il matrimonio”.
A proposito del battesimo. Quando lo praticate?
“E’ un discorso abbastanza elastico. Spesso si fa da bambini, e poi richiede una Confermazione. Io sono piuttosto contrario a questa pratica”.
Lei è cresciuto a Pinerolo, una città in cui è presente un’importante Comunità di base cattolica...
“Negli ultimi anni c’è stato un importante dialogo con i cattolici, grazie alla comunità di base, e anche grazie al vescovo Giachetti, che ha saputo cambiare completamente i rapporti con i protestanti, soprattutto per quanto riguarda i matrimoni misti. D’altra parte i vescovi di frontiera hanno sempre poteri molto estesi”.
Pinerolo è una diocesi di frontiera?
“E’ nata nel ‘700 con funzioni antivaldesi, ma negli ultimi anni è riuscita ad essere davvero profetica sul terreno dell’Ecumenismo grazie al vescovo Giachetti, anche se i rapporti erano già molto buoni con il suo predecessore, Santo Quadri, che poi è stato promosso vescovo proprio di Terni, e che oggi è arcivescovo emerito di Modena”.
Mi diceva dei matrimoni misti...
“Inizialmente i metodi proposti da Giachetti furono rifiutati dai valdesi. In seguito quella formula sarebbe stata individuata come la migliore anche a livello nazionale. E’ stata una decisione storica”.
Come si fa un matrimonio misto?
“Non con un rito ecumenico. Ma c’è un riconoscimento reciproco delle due chiese. Con un documento comune la chiesa valdese riconosce il matrimonio cattolico e viceversa. Con alcune condizioni: da parte cattolica non si ammettono i matrimoni di divorziati, da parte nostra non riconosciamo matrimoni che non abbiano effetti civili”.
Un momento, per voi il matrimonio non è un sacramento.
“No, non lo è. Per noi un matrimonio ha soprattutto effetti civili”.
Come può la Chiesa cattolica riconoscere un matrimonio protestante se non è un sacramento?
“Non lo riconosce come sacramento, ma ne riconosce tutti gli effetti canonici e legali. Insomma la coppia è sposata, a tutti gli effetti. L’accordo con la chiesa valdese è stato fatto nel 1997, mentre attualmente è in esame il riconoscimento con i Battisti”.
Che differenza c’è tra valdesi, metodisti e calvinisti?
“La Chiesa valdese, in Italia, ha radici antichissime, che risalgono al medioevo. Valdo era più o meno contemporaneo di san Francesco. Nel 1500 i valdesi italiani hanno aderito alla Riforma Calvinista. Quindi noi, a livello internazionale, siamo Calvinisti e insieme ai Pentecostali e i Riformati siamo le cosiddette “Chiesa evangeliche”. In Italia, invece, siamo ‘gemellati’ con la chiesa Metodista, con cui condividiamo tutto tranne gli aspetti finanziari e i rapporti ecumenici”.
Quindi avete pastori e chiese comuni...
“Sì. A Terni, per esempio, la chiesa è metodista, mentre il pastore è valdese”.
Il ministro di culto viene ordinato come i sacerdoti cattolici, o è semplicemente un laico che ha studiato teologia?
“Non si chiama ordinazione, ma viene consacrato. Durante la cerimonia di consacrazione tutta l’assemblea impone le mani su di lui. A Pinerolo da molti anni il vescovo partecipa alla consacrazione dei pastori valdesi. Ma Giachetti ha introdotto una novità molto bella e significativa che continua ancora oggi, imponendo a sua volta le mani sul pastore”.
Vuole dirmi che a Pinerolo il pastore protestante viene consacrato dal vescovo cattolico?
“Non solo da lui. Il vescovo impone le mani insieme magari ad altre mille persone. Ma partecipa alla consacrazione, sì”.
Che altri ruoli esistono nella chiesa valdese, oltre al pastore?
“Innanzitutto va detto che esistono due tipi di pastore: oltre al pastore al servizio della comunità, che viene mantenuto dalla chiesa e si sposta a seconda delle esigenze, esiste anche il cosiddetto pastore locale che di norma ha un altro lavoro: è un pastore a tutti gli effetti ma non viene stipendiato e – di conseguenza – non può essere trasferito. Poi ci sono i diaconi, che hanno ruoli prettamente legati alla carità. Infine ci sono i predicatori. Io ad esempio, non sono pastore, ma predicatore”.
I luterani sono più ‘clericali’ dei valdesi?
“In qualche modo. I calvinisti, ad esempio, possono affidare una comunità anche ad un predicatore, mentre i luterani stanno ancora esaminando questo aspetto. Poi ad esempio, il pastore luterano dispone di una sorta di ‘veto teologico’ sul sinodo, un po’ come quello di cui dispone il presidente della Repubblica nei confronti del Parlamento”.
Quale è il ruolo della Federazione delle Chiese evangeliche in Italia?
“La federazione riunisce Valdesi, Metodisti, Luterani, Esercito della Salvezza e piccole chiese locali. Ci occupiamo di istruzione ed educazione, catechismo, comunicazione, stampa e televisione, curando – ad esempio – la trasmissione Protestantesimo, ma anche del servizio ai rifugiati e migranti”.
Oltre ai matrimoni, esistono altre forme di comunione liturgica, oggi, tra cattolici e protestanti?
“A Pinerolo si pratica l’intercomunione. Quando organizziamo gli incontri con la Comunità di base, i cattolici partecipano alla Santa Cena, mentre tendenzialmente i valdesi non partecipano all’Eucarestia”.
http://www.diocesi.terni.it/varie.asp?ID=300
IN QUESTO ARTICOLO L'AUTORE DICHIARA ANTICA LA MISTIFICAZIONE DEI MEROVINGI COME DISCENDENTI DI GESU'-MA SAPPIAMO CHE INVECE E' MODERNISSIMA INVENTATA
MEROVINGI: LA PRIMA DINASTIA DI FRANCHI
La dinastia dei Merovingi trae il suo nome da Meroveo, re dei Franchi nato nel 411 e morto nel 456. Meroveo (francese Mérovée) deriva direttamente da Meroveus, latinizzazione del franco Merowech. Il suffisso -ing è un ben noto mezzo espressivo germanico usato per indicare i discendenti di un capostipite nobile. E' importante tenere presente che i Franchi erano una coalizione di popoli della Germania renana, e parlavano un idioma germanico, non l'antenato del francese, che è invece una lingua neolatina. La prima citazione di Meroveo si trova in Gregorio da Tours, storico gallo-romano e vescovo, che nelle Grandi Cronache di Francia lo indica come successore di Clodione il Capelluto. Non si riesce tuttavia a capire da questa informazione se Meroveo fosse figlio di Clodione. Tra i Germani non esistevano a quell'epoca concetti come la successione ereditaria e il diritto di primogenitura. Contava solo che i sovrani fossero scelti all'interno della tribù regale. Si pensa che Meroveo combatté come alleato dei Romani nella terribile battaglia dei Campi Catalaunici nel 451, conclusasi con una vittoria di Pirro contro gli eserciti di Attila.
Già gli antichi misero in dubbio la vera origine di Meroveo, e a questo proposito sono note due diverse leggende. La prima, più antica, era di certo un residuo del paganesimo dei Franchi, che si convertirono al Cristianesimo Romano soltanto sotto il merovingio Clodoveo, ispirato da un calcolo politico più che da autentiche convinzioni religiose. Si narra che la moglie di Clodione stesse in riva al mare, e che dalle acque scaturì un gigantesco toro in calore. La regina copulò con la bestia mostruosa, restando incinta proprio di Meroveo. Per alcuni addirittura il nuovo nato avrebbe avuto caratteristiche fisiche anomale che ne denunciavano l'origine ferina. I fautori di questa spiegazione derivano l'antroponimo Merowech dall'antica radice mer- 'mare', che si trova anche nel gotico marei, parente del latino mare, del celtico more e dello slavo morje. In realtà è più probabile che mero- sia simile al gotico mereis 'glorioso'. Nessun dubbio invece su -wech, -wig, che significa 'guerriero': allo stesso modo Clodoveo significa 'guerriero famoso'.
La seconda leggenda è invece più tarda, e risale di certo ad un'epoca in cui i Franchi erano stati cristianizzati, quindi non prima della fine del V secolo. Secondo questa narrazione, Gesù sarebbe stato lo sposo di Maria Maddalena e avrebbe generato figli con lei. Maria Maddalena sarebbe fuggita dalle persecuzioni dei Romani assiema a Maria di Betania, a Marta di Betania e a Maria madre di Gesù, trovando scampo nella Gallia Narbonese, che è l'attuale Provenza. Dalla zona palustre oggi conosciuta come Camargue, vicino all'importante città di Arelate (Arles), la Maddalena avrebbe navigato sul Rodano con le sue compagne di sventura, fino ad incontrare la tribù dei Franchi. Ora, i Franchi sono descritti da queste dubbie fonti come una delle tribù di Israele, per la precisione come discendenti di Beniamino fuggito alla repressione operata dai Romani in Giudea. Questa ipotesi, riportata in vita da Baigent e da Dan Brown, è contraddetta in modo palese dalla realtà dei fatti.
I Franchi non avevano nulla a che vedere con gli Ebrei, e anche l'archeologia lo dimostra. Come conciliare con la pretesa origine mediorientale di questi germani il fatto che sono costantemente descritti da tutte le fonti allo stesso modo di tutti gli altri nordici, come dotati di pelle chiarissima, occhi azzurri e capelli biondi? Sappiamo con precisione l'origine dei Franchi, che si sono formati dall'unione di tribù più antiche come i Chatti, i Cauchi, i Tencteri, gli Usipeti, i Sigambri. Si sa anche che alcuni popoli loro simili, come gli Angrivari, rimasero tagliati fuori dalla coalizione e non accettarono di essere cristianizzati finché Carlomagno non li costrinse con la forza tra la fine del VIII secolo e l'inizio del IX. Quando Clodoveo fu battezzato, il vescovo Remigio di Reims che gli diede il sacramento, trovò necessario esortarlo con una frase rimasta famosa: "Fiero Sigambro, brucia ciò che hai adorato e adora ciò che hai bruciato!".
Il primo franco noto con questo etnonimo fu Arbogaste (Arbogast), un generale politeista che combatté contro la tirannia di Teodosio nel IV secolo, finendo disfatto assieme al suo protettore Eugenio. Fu adoratore di Wotan il duca Pharamond, padre di Clodione, e lo fu allo stesso modo Meroveo. Non è difficile immaginare che all'epoca dei primi Merovingi la situazione non fosse pacifica, e i sentimenti anticristiani fossero molto potenti: era in corso una guerra di religione. In tutto questo scenario ben attestato non può in alcun modo inserirsi la storia di Maria Maddalena. Le incongruenze e gli anacronismi sono insormontabili anche dal punto di vista linguistico e geografico. Dovremmo sorvolare sul fatto che Sangue Reale nella lingua dei Franchi si diceva Koninges Pluot (quasi come il tedesco königlich Blut): una sorgente improbabile per il termine Sangreal. Dovremmo ignorare che il Rodano nasce in quella che oggi è la Svizzera, e che non scorre in regioni sottoposte al potere franco nel V secolo. Ai tempi di Augusto la Renania era sotto il controllo di Roma, e la Maddalena avrebbe dovuto navigare sul Reno verso il Mare del Nord e addentrarsi in pericolose foreste per trovare gli antenati dei Franchi. A scanso di equivoci, aggiungo che il famoso sito di Rennes-le-Chateau ha una collocazione a dir poco eccentrica rispetto a tutto ciò che ha a che fare con i Franchi.
Il mito dell'origine dalla stirpe di Gesù e di Maria di Magdala nacque in un'epoca in cui non esistevano conoscenze di etnologia e di storia. A seguito della cristianizzazione, i Franchi avevano perso parte del proprio passato in una vera e propria operazione di etnocidio, come spesso avveniva quando un popolo pagano si poneva sotto il dominio della Chiesa di Roma. Quando i primi storici dei Franchi ci dicono che Clodoveo aveva venerato gli Dei della Grecia, dimostrano solo quanto fu efficace a distanza di un secolo la rimozione di un intero patrimonio culturale.
Lo scopo della leggenda del Sangue Reale è evidente: serviva ai Merovingi cristianizzati per assicurarsi un potere mistico, quando la loro scarsa abilità con le armi non poté più garantire loro il pieno controllo sul popolo franco. Infatti la dinastia dopo Clodoveo subì un rapido processo di degenerazione. Si parlò di Re Fannulloni, che non erano neppure più capaci di impugnare un'arma a causa della loro temperatura corporea costantemente superiore alla media. Il potere effettivo andò così ad una nuova figura capace di gestire gli eserciti: il Maestro di Palazzo, detto anche Maggiordomo. La causa di questo è chiara e va ricercata nell'endogamia. I reiterati matrimoni tra consanguinei stretti avevano propagato un qualche difetto genetico, come si può oggi notare tra le genti della Micronesia, in cui intere popolazioni soffrono di sindromi parkinsoniane o sono cieche ai colori. Si racconta come vivevano questi discendenti di Meroveo. Assieme al loro seguito viaggiavano su carri, e giunti alla dimora di un nobile vi si installavano, divorando ogni commestibile e bevendo a dismisura. Quando le dispense e le cantine non avevano più nulla da offrire, partivano alla ricerca di una nuova fonte di approvvigionamenti.
Conservavano molti costumi del loro passato pagano, come quello che li costringeva ad essere intonsi, ossia a non tagliarsi mai capelli e barba. Trasformare i difetti in virtù era necessario a quei tempi, così nacque l'idea che il Re fosse in grado di risanare i malati con il solo tocco delle mani. Per dare una giustificazione storica di questo preteso potere, l'origine dal Sangue Reale poteva servire molto bene. Gesù infatti era a tutti noto per le miracolose guarigioni che era in grado di operare. Secoli dopo si sarebbe parlato ancora dei Re Taumaturghi. Tra le altre usanze bizzarre si menzionano la poligamia e la trapanazione del cranio dei morti. Queste sono tradizioni che hanno una spiegazione nell'ambito dell'antichità precristiana europea. Se proprio si vogliono trovare contatti con l'antica cultura egiziana, più che una Chiesa Gnostica nascosta vengono in mente le menzioni di Tacito sul culto di Iside tra i Suebi.
Le generazioni si susseguirono, e la stirpe merovingia sembrava essere destinata a un'eterna vita nell'agonia, ma qualcosa andava cambiando. Il potere dei Maggiordomi premeva e minacciava la dinastia decennio dopo decennio: un potere concreto, fatto di ferro, di complotti e di ferocia. Il rapporto tra il Re e il Maestro di Palazzo era in tutto e per tutto simile a quello che in Giappone si produsse tra l'Imperatore e lo Shogun. La stirpe che deteneva il comando militare sarebbe stata destinata a rimpiazzare i vecchi re e ad acquisire grande gloria: era la stirpe dei Carolingi.
Il quarantaseiesimo e ultimo merovingio fu Childerico III. Noto con il significativo soprannome di Re Idiota o addirittura Re Fantasma, fu riconosciuto come sovrano dai Maggiordomi Carlomanno e Pipino il Breve, dopo sette anni di trono vacante. Qualcuno avanza persino il dubbio che fosse un autentico discendente di Meroveo. Con tutta probabilità era un figlio di Chilperico II, ma non esistono prove certe a questo riguardo. Si trascinò in un'ingloriosa esistenza da fantoccio, finché Pipino il Breve ebbe sufficiente coraggio per deporlo. In una lettera scritta al Papa Zaccaria, Pipino gli chiedeva retoricamente se dovesse essere re chi aveva ereditato il titolo in virtù del suo sangue o chi invece il potere lo deteneva davvero. La risposta del Pontefice fu chiara e dura: doveva essere Re chi esercitava il potere. Così avvenne che nel 751 Papa Stefano II, succeduto nel frattempo a Zaccaria, diede disposizione che Childerico III fosse privato del suo titolo e che il suo cranio fosse completamente rasato. Pipino alla lettera deposit et tonsit l'ultimo dei Merovingi, quia non erat utilis, perché non era utile. Rinchiuso in un monastero, Childerico morì pochi anni dopo di stenti e di crepacuore.
I sostenitori della teoria del Sang Real di solito indicano erroneamente in Dagoberto II l'ultimo dei Merovingi, ma questi era il trentanovesimo rappresentante della dinastia, morto nel 679. Tra lui e Childerico III ci furono ben sei regnanti dello stesso sangue: Teodorico III, Clodoveo II, Childeberto II, Dagoberto III, Chilperico II e Teodorico IV. Una tradizione vuole che Dagoberto fosse padre delle sante Erminia e Adele. Che si sappia non lasciò eredi diretti. Un figlio chiamato Sigisberto pare proprio il frutto di una falsificazione storica, come tutto ciò che ha a che fare con il Priorato di Sion.
Comunque la si metta, l'ipotesi della discendenza dei Merovingi da Gesù non implicherebbe in alcun modo che Gesù fosse interamente umano, come spesso si sente dire. Secondo l'idea della Chiesa di Roma, Gesù avrebbe avuto due nature in sé: quella umana e quella divina. Quindi, seguendo questa contorta teologia, si potrebbe pensare credibile che Cristo abbia generato figli, ferma restando la sua resurrezione. Per questo motivo i Merovingi non furono condannati come eretici dal potere di Roma. Invece la religione Catara è ferma a questo riguardo: Cristo, che non mangiò col corpo e non ebbe un corpo di carne, non può in alcun modo aver emesso seme e procreato una discendenza di qualsiasi tipo. Una simile storia sarebbe stata rifiutata da tutti i Buoni Uomini come falsa e blasfema.
postato da: antares666 alle ore 21:09 | link | commenti
categorie: storia, misteri, polemistica, falsi storici
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La dinastia dei Merovingi trae il suo nome da Meroveo, re dei Franchi nato nel 411 e morto nel 456. Meroveo (francese Mérovée) deriva direttamente da Meroveus, latinizzazione del franco Merowech. Il suffisso -ing è un ben noto mezzo espressivo germanico usato per indicare i discendenti di un capostipite nobile. E' importante tenere presente che i Franchi erano una coalizione di popoli della Germania renana, e parlavano un idioma germanico, non l'antenato del francese, che è invece una lingua neolatina. La prima citazione di Meroveo si trova in Gregorio da Tours, storico gallo-romano e vescovo, che nelle Grandi Cronache di Francia lo indica come successore di Clodione il Capelluto. Non si riesce tuttavia a capire da questa informazione se Meroveo fosse figlio di Clodione. Tra i Germani non esistevano a quell'epoca concetti come la successione ereditaria e il diritto di primogenitura. Contava solo che i sovrani fossero scelti all'interno della tribù regale. Si pensa che Meroveo combatté come alleato dei Romani nella terribile battaglia dei Campi Catalaunici nel 451, conclusasi con una vittoria di Pirro contro gli eserciti di Attila.
Già gli antichi misero in dubbio la vera origine di Meroveo, e a questo proposito sono note due diverse leggende. La prima, più antica, era di certo un residuo del paganesimo dei Franchi, che si convertirono al Cristianesimo Romano soltanto sotto il merovingio Clodoveo, ispirato da un calcolo politico più che da autentiche convinzioni religiose. Si narra che la moglie di Clodione stesse in riva al mare, e che dalle acque scaturì un gigantesco toro in calore. La regina copulò con la bestia mostruosa, restando incinta proprio di Meroveo. Per alcuni addirittura il nuovo nato avrebbe avuto caratteristiche fisiche anomale che ne denunciavano l'origine ferina. I fautori di questa spiegazione derivano l'antroponimo Merowech dall'antica radice mer- 'mare', che si trova anche nel gotico marei, parente del latino mare, del celtico more e dello slavo morje. In realtà è più probabile che mero- sia simile al gotico mereis 'glorioso'. Nessun dubbio invece su -wech, -wig, che significa 'guerriero': allo stesso modo Clodoveo significa 'guerriero famoso'.
La seconda leggenda è invece più tarda, e risale di certo ad un'epoca in cui i Franchi erano stati cristianizzati, quindi non prima della fine del V secolo. Secondo questa narrazione, Gesù sarebbe stato lo sposo di Maria Maddalena e avrebbe generato figli con lei. Maria Maddalena sarebbe fuggita dalle persecuzioni dei Romani assiema a Maria di Betania, a Marta di Betania e a Maria madre di Gesù, trovando scampo nella Gallia Narbonese, che è l'attuale Provenza. Dalla zona palustre oggi conosciuta come Camargue, vicino all'importante città di Arelate (Arles), la Maddalena avrebbe navigato sul Rodano con le sue compagne di sventura, fino ad incontrare la tribù dei Franchi. Ora, i Franchi sono descritti da queste dubbie fonti come una delle tribù di Israele, per la precisione come discendenti di Beniamino fuggito alla repressione operata dai Romani in Giudea. Questa ipotesi, riportata in vita da Baigent e da Dan Brown, è contraddetta in modo palese dalla realtà dei fatti.
I Franchi non avevano nulla a che vedere con gli Ebrei, e anche l'archeologia lo dimostra. Come conciliare con la pretesa origine mediorientale di questi germani il fatto che sono costantemente descritti da tutte le fonti allo stesso modo di tutti gli altri nordici, come dotati di pelle chiarissima, occhi azzurri e capelli biondi? Sappiamo con precisione l'origine dei Franchi, che si sono formati dall'unione di tribù più antiche come i Chatti, i Cauchi, i Tencteri, gli Usipeti, i Sigambri. Si sa anche che alcuni popoli loro simili, come gli Angrivari, rimasero tagliati fuori dalla coalizione e non accettarono di essere cristianizzati finché Carlomagno non li costrinse con la forza tra la fine del VIII secolo e l'inizio del IX. Quando Clodoveo fu battezzato, il vescovo Remigio di Reims che gli diede il sacramento, trovò necessario esortarlo con una frase rimasta famosa: "Fiero Sigambro, brucia ciò che hai adorato e adora ciò che hai bruciato!".
Il primo franco noto con questo etnonimo fu Arbogaste (Arbogast), un generale politeista che combatté contro la tirannia di Teodosio nel IV secolo, finendo disfatto assieme al suo protettore Eugenio. Fu adoratore di Wotan il duca Pharamond, padre di Clodione, e lo fu allo stesso modo Meroveo. Non è difficile immaginare che all'epoca dei primi Merovingi la situazione non fosse pacifica, e i sentimenti anticristiani fossero molto potenti: era in corso una guerra di religione. In tutto questo scenario ben attestato non può in alcun modo inserirsi la storia di Maria Maddalena. Le incongruenze e gli anacronismi sono insormontabili anche dal punto di vista linguistico e geografico. Dovremmo sorvolare sul fatto che Sangue Reale nella lingua dei Franchi si diceva Koninges Pluot (quasi come il tedesco königlich Blut): una sorgente improbabile per il termine Sangreal. Dovremmo ignorare che il Rodano nasce in quella che oggi è la Svizzera, e che non scorre in regioni sottoposte al potere franco nel V secolo. Ai tempi di Augusto la Renania era sotto il controllo di Roma, e la Maddalena avrebbe dovuto navigare sul Reno verso il Mare del Nord e addentrarsi in pericolose foreste per trovare gli antenati dei Franchi. A scanso di equivoci, aggiungo che il famoso sito di Rennes-le-Chateau ha una collocazione a dir poco eccentrica rispetto a tutto ciò che ha a che fare con i Franchi.
Il mito dell'origine dalla stirpe di Gesù e di Maria di Magdala nacque in un'epoca in cui non esistevano conoscenze di etnologia e di storia. A seguito della cristianizzazione, i Franchi avevano perso parte del proprio passato in una vera e propria operazione di etnocidio, come spesso avveniva quando un popolo pagano si poneva sotto il dominio della Chiesa di Roma. Quando i primi storici dei Franchi ci dicono che Clodoveo aveva venerato gli Dei della Grecia, dimostrano solo quanto fu efficace a distanza di un secolo la rimozione di un intero patrimonio culturale.
Lo scopo della leggenda del Sangue Reale è evidente: serviva ai Merovingi cristianizzati per assicurarsi un potere mistico, quando la loro scarsa abilità con le armi non poté più garantire loro il pieno controllo sul popolo franco. Infatti la dinastia dopo Clodoveo subì un rapido processo di degenerazione. Si parlò di Re Fannulloni, che non erano neppure più capaci di impugnare un'arma a causa della loro temperatura corporea costantemente superiore alla media. Il potere effettivo andò così ad una nuova figura capace di gestire gli eserciti: il Maestro di Palazzo, detto anche Maggiordomo. La causa di questo è chiara e va ricercata nell'endogamia. I reiterati matrimoni tra consanguinei stretti avevano propagato un qualche difetto genetico, come si può oggi notare tra le genti della Micronesia, in cui intere popolazioni soffrono di sindromi parkinsoniane o sono cieche ai colori. Si racconta come vivevano questi discendenti di Meroveo. Assieme al loro seguito viaggiavano su carri, e giunti alla dimora di un nobile vi si installavano, divorando ogni commestibile e bevendo a dismisura. Quando le dispense e le cantine non avevano più nulla da offrire, partivano alla ricerca di una nuova fonte di approvvigionamenti.
Conservavano molti costumi del loro passato pagano, come quello che li costringeva ad essere intonsi, ossia a non tagliarsi mai capelli e barba. Trasformare i difetti in virtù era necessario a quei tempi, così nacque l'idea che il Re fosse in grado di risanare i malati con il solo tocco delle mani. Per dare una giustificazione storica di questo preteso potere, l'origine dal Sangue Reale poteva servire molto bene. Gesù infatti era a tutti noto per le miracolose guarigioni che era in grado di operare. Secoli dopo si sarebbe parlato ancora dei Re Taumaturghi. Tra le altre usanze bizzarre si menzionano la poligamia e la trapanazione del cranio dei morti. Queste sono tradizioni che hanno una spiegazione nell'ambito dell'antichità precristiana europea. Se proprio si vogliono trovare contatti con l'antica cultura egiziana, più che una Chiesa Gnostica nascosta vengono in mente le menzioni di Tacito sul culto di Iside tra i Suebi.
Le generazioni si susseguirono, e la stirpe merovingia sembrava essere destinata a un'eterna vita nell'agonia, ma qualcosa andava cambiando. Il potere dei Maggiordomi premeva e minacciava la dinastia decennio dopo decennio: un potere concreto, fatto di ferro, di complotti e di ferocia. Il rapporto tra il Re e il Maestro di Palazzo era in tutto e per tutto simile a quello che in Giappone si produsse tra l'Imperatore e lo Shogun. La stirpe che deteneva il comando militare sarebbe stata destinata a rimpiazzare i vecchi re e ad acquisire grande gloria: era la stirpe dei Carolingi.
Il quarantaseiesimo e ultimo merovingio fu Childerico III. Noto con il significativo soprannome di Re Idiota o addirittura Re Fantasma, fu riconosciuto come sovrano dai Maggiordomi Carlomanno e Pipino il Breve, dopo sette anni di trono vacante. Qualcuno avanza persino il dubbio che fosse un autentico discendente di Meroveo. Con tutta probabilità era un figlio di Chilperico II, ma non esistono prove certe a questo riguardo. Si trascinò in un'ingloriosa esistenza da fantoccio, finché Pipino il Breve ebbe sufficiente coraggio per deporlo. In una lettera scritta al Papa Zaccaria, Pipino gli chiedeva retoricamente se dovesse essere re chi aveva ereditato il titolo in virtù del suo sangue o chi invece il potere lo deteneva davvero. La risposta del Pontefice fu chiara e dura: doveva essere Re chi esercitava il potere. Così avvenne che nel 751 Papa Stefano II, succeduto nel frattempo a Zaccaria, diede disposizione che Childerico III fosse privato del suo titolo e che il suo cranio fosse completamente rasato. Pipino alla lettera deposit et tonsit l'ultimo dei Merovingi, quia non erat utilis, perché non era utile. Rinchiuso in un monastero, Childerico morì pochi anni dopo di stenti e di crepacuore.
I sostenitori della teoria del Sang Real di solito indicano erroneamente in Dagoberto II l'ultimo dei Merovingi, ma questi era il trentanovesimo rappresentante della dinastia, morto nel 679. Tra lui e Childerico III ci furono ben sei regnanti dello stesso sangue: Teodorico III, Clodoveo II, Childeberto II, Dagoberto III, Chilperico II e Teodorico IV. Una tradizione vuole che Dagoberto fosse padre delle sante Erminia e Adele. Che si sappia non lasciò eredi diretti. Un figlio chiamato Sigisberto pare proprio il frutto di una falsificazione storica, come tutto ciò che ha a che fare con il Priorato di Sion.
Comunque la si metta, l'ipotesi della discendenza dei Merovingi da Gesù non implicherebbe in alcun modo che Gesù fosse interamente umano, come spesso si sente dire. Secondo l'idea della Chiesa di Roma, Gesù avrebbe avuto due nature in sé: quella umana e quella divina. Quindi, seguendo questa contorta teologia, si potrebbe pensare credibile che Cristo abbia generato figli, ferma restando la sua resurrezione. Per questo motivo i Merovingi non furono condannati come eretici dal potere di Roma. Invece la religione Catara è ferma a questo riguardo: Cristo, che non mangiò col corpo e non ebbe un corpo di carne, non può in alcun modo aver emesso seme e procreato una discendenza di qualsiasi tipo. Una simile storia sarebbe stata rifiutata da tutti i Buoni Uomini come falsa e blasfema.
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