lunedì 22 settembre 2008

Vaticano contro il film sul «Codice da Vinci»

LA SANTA SEDE SCOMUNICA L’OPERA CHE STA PER ESSERE PRESENTATA AL FESTIVAL DI CANNES

Vaticano contro il film sul «Codice da Vinci»
29/4/2006

di Marco Tosatti


CITTA’ DEL VATICANO. La saga del Codice da Vinci si arricchisce di un altro capitolo: una «scomunica» di altissimo livello, che naturalmente non potrà non riempire di gioia autori, produttori e tutti quanti militano sotto le bandiere di Dan Brown. L'ha pronunciato, l'anatema, addirittura il Segretario della Congregazione per la Dottrina della Fede, monsignor Angelo Amato; e per giudicare il peso di questa uscita basterà ricordare che una volta la Congregazione, già Sant'Uffizio, era chiamata «La Suprema», proprio per sottolineare il ruolo eccezionale nel firmamento vaticano.

Un intervento dunque di peso ben diverso rispetto alle pur roventi polemiche che deflagrarono nel 1988 contro L’ultima tentazione di Cristo di Martin Scorsese. Monsignor Amato, teologo raffinatissimo e grande esperto di spiritualità bizantina, intervenendo a un convegno all'università della Santa Croce, ha incoraggiato sic et simpliciter a «boicottare il film». Una breve digressione dal testo scritto che aveva preparato, ma sufficiente per capire che Il Codice da Vinci proprio non gli va giù. Il tema del convegno era il rapporto che fra i media e il magistero della Chiesa e le sfide culturali che ne derivano. In questo contesto ha inserito il riferimento al romanzo dei record (quarantatré milioni di copie vendute) secondo cui Gesù non è morto ma si è sposato con Maria Maddalena, mettendo al mondo dei figli.

In questo modo Dan Brown ha portato all'onor del mondo una leggenda ancora viva in una setta islamica del Kashmir. Il giudizio di monsignor Amato, peraltro condiviso dagli studiosi cristiani, non solo cattolici, è che libro e film son solo un coacervo di «offese, calunnie, errori storici e teologici nei confronti di Gesù, dei Vangeli, della Chiesa». E qui il prelato ha messo a segno un punto, nei confronti del «politically correct» imperante in Occidente: «calunnie, offese ed errori che se fossero stati indirizzati al Corano o alla Shoah avrebbero provocato giustamente una sollevazione mondiale», ma che se «rivolti alla Chiesa e ai cristiani rimangono impuniti». L'episodio dovrebbe dunque far riflettere: «Penso - ha aggiunto Amato - che in questi casi i cristiani dovrebbero essere più sensibili al rifiuto della menzogna e della diffamazione gratuita».

Parole che riguardano la proposta provocatoria di uno scrittore cattolico italiano, Vittorio Messori, tesa alla creazione di una «Anti defamation League» a difesa dei cristiani, come ne esiste una per i figli di Israele. Certo, tutto sembra concordare in un disegno ben delineato per aiutare il lancio della pellicola. Anche le polemiche - questa volta romanissime - legate - a un mega-manifesto del Codice da Vinci appeso a coprire la facciata di una chiesa, San Pantaleo, e per di più nel cuore di Roma, sulla centralissima arteria di Corso Vittorio, a dieci metri da piazza Navona. La chiesa è in restauro, i lavori sono a cura del ministero dell'Interno (che ha anche la proprietà dell'edificio); e come succede in questi casi la superficie dei ponteggi era coperta da un'affissione pubblicitaria. Fare pubblicità, sulla facciata di una chiesa, a quello che il predicatore della Casa Pontificia, Cantalamessa, il venerdì santo, ha bollato in maniera durissima, è sembrato proprio una provocazione al rettore della parrocchia, che ne ha ottenuto la rimozione.

Tuonava il francescano Cantalamessa: «Si fa un gran parlare del tradimento di Giuda e non ci si accorge che lo si sta rinnovando; Cristo viene ancora venduto, non più ai capi del sinedrio per trenta denari, ma a editori e librai per miliardi di denari... Nessuno riuscirà a frenare questa ondata speculativa, che anzi registrerà un'impennata con l'uscita imminente di un certo film». Detto fatto. Era un episodio secondario, se si vuole, questo della facciata di San Pantaleo; ma indicativo del malumore della Chiesa in generale, e in particolare di quello dell'Opus Dei, che viene dipinta come una specie di setta dedita al crimine.

Ma la strategia portata avanti dalla Prelatura fondata da Escrivà de Balaguer non è stata quella della censura, ma del dialogo. Nelle settimane scorse aveva inviato una lettera-appello alla Sony chiedendo di inserire all'inizio del film un avviso per gli spettatori, precisando che la storia è frutto di fantasia. Con rammarico, però, dicono i responsabili, «la Sony non ha mai risposto». In parallelo, si è deciso di approfittare dell'occasione «per far conoscere meglio al pubblico mondiale che cosa sia veramente la Chiesa, chi sia Gesù e cosa faccia l'Opus Dei». «Il primo effetto positivo - hanno detto Marc Carroggio e Brian Finnerty - è stato il rafforzamento della collaborazione inter-ecclesiale: molte realtà della Chiesa in diverse parti del mondo stanno collaborando per fornire informazioni sulla verità dei Vangeli e sulla fede cattolica. Molte persone in questi tre anni hanno ammesso che il libro è stato occasione di riavvicinamento alla Chiesa e alla fede».

Ma da Firenze viene un'ipotesi inquietante: e la propone Franco Cardini, ordinario di storia medievale all'Università di Firenze. Il Codice da Vinci potrebbe essere frutto delle frizioni tra Casa Bianca e Vaticano per la guerra in Iraq: «Il successo di Dan Brown appartiene obiettivamente ai messaggi mafiosi che la classe dirigente Usa ha inviato al Vaticano ed è un brandello della grande lotta per la conquista del potere universale».



http://www.totustuus.biz/users/alzatevi_andiamo/scomunica.htm

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